Craxi sosteneva di aver commesso molti errori nella sua carriera politica, ma allo stesso tempo pensava di non meritare di morire al confino, dato che aveva sempre servito il Paese. Si muoveva sempre al limite tra l’arroganza e la capacità di esprimere una verità scomoda e per ciò non fu mai popolare. Di conseguenza, il suo partito, il PSI, non ebbe mai ampi consensi. Faceva sfoggio delle sue qualità politiche in ogni occasione ed aveva ragione dato che tali abilità gli erano riconosciute dall’universo intellettuale.
Negli ultimi anni della sua vita tunisina seguì l’Italia con l’interesse di sempre e non apprezzò mai il bipolarismo perché lo considerava un’offesa alla democrazia per via della falsa rappresentazione della realtà politico-sociale. All’epoca considerava gli italiani un popolo prevalentemente di centro-destra ed individuò in Massimo D’Alema il politico più vicino alle sue idee in quanto anch’egli di sinistra e, come lui, figlio della partitocrazia, di quella stessa partitocrazia che gli fornì l’arroganza di corrompere e farsi corrompere dai poteri forti.
Craxi mise in atto un’ambiziosa azione politica molto importante per il Paese: la più grande modernizzazione della sinistra del secondo dopoguerra, attraverso il tentativo di liberarla dalla pregiudiziale antifascista, favorendo il revisionismo storico. In tal modo avrebbe potuto, di riflesso, sdoganare il centro-destra. Grazie al suo acume politico, l’Italia ebbe il governo più duraturo della prima repubblica, coincidente col periodo di maggior benessere dell’Italia, che allora rappresentava la quinta potenza mondiale, nonostante il costante aumento del debito pubblico.
Ma Craxi fece di più: ebbe la grande intuizione di immaginare uno Stato autorevole, centralista, con un ruolo attivo in un mercato libero, aperto alla religione pur mantenendo il laicismo più convinto. Secondo lui nessuno era legittimato a supplire la politica: né la magistratura, né gli organismi sovranazionali, né la Chiesa, né altri poteri forti come magistratura o lobby dell’alta finanza o dell’imprenditoria. Egli era dichiaratamente favorevole ad un Paese laico, moderno, emancipato, ma non avrebbe mai portato la sinistra a combattere battaglie come quelle pro-gay, quella abortista, quelle dei testamenti biologici, delle minoranze etniche e dei clandestini, senza passare dalla eliminazione della pregiudiziale antifascista.
La sua fu l’ultima sinistra di governo che produsse dei risultati concreti. Certo, non fu completamente onesta, anzi. Ma credo che la politica non possa essere giudicata solo dal punto di vista morale e penale, dovendo considerare anche gli effetti che le sue azioni producono nella vita del Paese riguardo al suo sviluppo economico. Non dico che debba essere fatta un’analisi tra costi e benefici delle conseguenze di comportamenti illegittimi, ma certamente, se guardiamo all’odierna politica, un confronto tra i danni prodotti dagli incompetenti e quelli prodotti, invece, dagli scaltri politici navigati ritengo che sia, quantomeno, opportuno. E forse Craxi aveva ragione quando sosteneva che il socialismo è un progetto in divenire e non è mai pragmatico. Tant’è vero, che l’Italia ha avuto il socialismo di Giolitti che socialista non era, quello di Mussolini, che di sinistra non era, quello di Nenni ed il suo, probabilmente l’ultimo vero socialismo.