Il Giornale del Salento

Brainstorming: poi vorrei…l’università

                 

“La vita insiste per essere mia amica e il destino mio nemico”, lo sosteneva Frida Kahlo nel Novecento, lo confermo io nel 2020. Chissà come si sarebbe sentita la pittrice messicana, ormai assurta a emblema di resilienza, a icona, a volto da esibire sulle t-shirt estive in riva al mare, a discutere con uno schermo da 13 pollici attorniata da quattro mura che, ahimè, di certo non rappresentano il cielo in una stanza cantato da Gino Paoli. Avrebbe detto “andrà tutto bene” lei che, otto giorni prima di morire, nonostante l’amputazione della gamba, causata da un’imminente cancrena, dipinse Viva la vida, estremo omaggio a un’avventura destinata a terminare di lì a poco? Le epidemie sono come le battaglie: passano sopra la tela degli eventi, dei legami, delle abitudini come un pennello, mettendo in risalto i colori delle esperienze rassicuranti, dei “porti sicuri”. Il bisogno di sentirsi protetti funge da catalizzatore, si prende la rincorsa, a volte inciampando, più spesso scappando. A me, però, Milano manca. Qui in Salento il sole batte ancora forte sui volti, ma a me manca ancora la sua nebbia. Strano desiderare il grigio se si ha davanti a sé l’azzurro del mare, del cielo, dell’orizzonte. Ho sempre rincorso il buio, ciò che è ignoto mi affascina e ciò che è incerto solletica il mio ego: la ricerca di ciò che ancora non si conosce è parte di me, così come le tenebre. Tuttavia, non sempre il buio, la foschia, le tenebre sono sinonimo di incertezza: dal nero scaturiscono i colori, le sfumature, le luci. Ed è proprio questo che è Milano per gli universitari che ci risiedono: luce. La luce dei tram che solcano le strade, la luce delle terrazze che si affacciano a Piazza Duomo, la luce delle università, luogo dove tutti, prima o dopo, impariamo ad assumerci delle responsabilità e viviamo nuove esperienze. Strana, eppure autentica, la sensazione di sentirsi a casa propria laddove non si è cresciuti.

Trasferisco su carta questo “flusso di coscienza” il giorno prima del mio ultimo esame prima di Natale, poi Gennaio, anno nuovo, vita nuova, nuovi esami e differenti obiettivi. Questa volta, tuttavia, anche per me non sarà come tutte le altre: la valigia l’ho disfatta già parecchi mesi fa, e con essa i ricordi, le aspettative, i desideri, accantonati sul mio comodino attendendo che il Caronte della mia mente li traghetti verso l’altra riva del fiume.

Questo Natale non esorto alla tristezza, sa di code interminabili e vaghe coincidenze. Elogio la malinconia, piuttosto, saccheggiando la nietzscheana convinzione secondo cui: “Le persone gravi, malinconiche, diventano più leggere e di tanto in tanto affiorano alla loro superficie, proprio attraverso ciò che rende gli altri pesanti, attraverso l’odio e l’amore”. L’amore per la quotidianità, per la normalità, per il contatto umano, per quelle lezioni in presenza che “ah, che sbatti alzarsi alle 7.30”, “che scocciatura il ritardo del tram”, ma quanto desidero che ritardi, ora. Non fosse altro se non per sapere di avere una destinazione.

Mi auguro che tutti gli studenti come me, leggendo queste righe, si sentano trafitti da un senso di speranza e accomunati da un simil sentire. Siamo tutti sulla stessa barca. E non c’è da crucciarsi, direbbe il saggio.

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