«Questo è un romanzo epistolare fasullo, strabico. Oh sì, le lettere ci sono, più di 50, ma non ricevono mai risposta… Sembra un’iperbole ma non è così: dovevo scriverlo, questo libro, perché mi stava dentro, passati gli 80 anni, come un’urgenza, un redde rationem, un soffio alla nebbia per sapere chi sono: il riflesso della mia lampada sulla finestra del nonno». Queste sono le parole con cui Roberto Vecchioni presenta Tra il silenzio e il tuono a «tuttolibri – La Stampa», il suo romanzo più intimo e struggente che racconta, per frammenti, la storia di una vita: sconfitte, vittorie, sogni, disincanti.
Non è un romanzo epistolare come gli altri. Si alternano due voci: da una parte c’è lui, Roberto Vecchioni, che racconta a un fantomatico nonno alcuni degli episodi più significativi della sua vita. Infanzia, amicizie, studi, canzoni, dolori, amori. Il nonno, dal canto suo, non gli risponde mai: forse non ce n’è bisogno, forse conosce Roberto fin troppo bene. Le sue lettere sono indirizzate ad altri personaggi, veri o immaginari, e affrontano gli argomenti più disparati.
«Il ragazzino del libro è pensoso, a volte solitario, umoristico, satirico, sa prendere in giro la vita. Ma le lettere in cui mi identifico di più sono quelle autoaccusatorie: quella del mio senso di colpa per avere trascurato mio figlio, mascherata dal sogno del cavaliere che vuole essere ucciso. E poi ci sono quelle in cui spiego la mia doppiezza: sotto il palco una persona normale, con la paura di sbagliare, sul palco invece un altro, sicuro, spensierato e padrone del mondo», spiega Vecchioni a «Vanity Fair».
Anche per Ermanno Paccagnini, che su «La Lettura – Corriere della Sera» ha speso parole preziose sul lavoro dell’autore, «pur presentandosi il volume in forma di romanzo epistolare, viene riduttivo definirlo tale. Perché “ragazzo” e “nonno” sono sì due entità che si parlano, ma, proprio in quanto si parlano, ciascuna parla a sé stessa. Due entità che trovano espressione traslata nel titolo: Tra il silenzio e il tuono; dove la preposizione “tra” vive tutta la sua ambiguità nel designare sì il legame, ma pure i termini dei confini di quei due lemmi: d’un “tuono” (dimensione dell’eros) che trova in sé lo spazio del silenzio; e d’un “silenzio” (dimensione della philia, che «vive in una coincidenza di ricordi, proprio nel punto preciso di quelle risate e quelle lacrime») che si fa finalmente parola».
Cosa aggiungere? Da leggere.