Versicoli quasi ecologici – Giorgio Caproni
Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: “Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra”.
Versicoli quasi ecologici di Giorgio Caproni è la poesia scelta dal Miur per la traccia della prima prova della Maturità 2017 di tipologia A, ossia l’analisi del testo. Il testo, dunque, è una critica all’impatto dell’uomo sulla natura, che secondo l’autore è portatrice di amore, perché secondo Caproni l’amore “finisce dove finisce l’erba e l’acqua muore”.
Versicoli quasi ecologici è un grido d’allarme contro la distruzione dell’ambiente e l’incuria dell’uomo nei confronti della natura. Caproni, con grande competenza e sensibilità, invita a una riflessione profonda sulla relazione dell’uomo con il resto del mondo naturale, con tutta la madre terra. Meravigliosa l’espressione di Papa Francesco di ‘casa comune’, che ci ospita e ci accoglie senza nulla chiederci in cambio se non rispetto. Una parola dimenticata, disusata e sovente ‘contro corrente’.
La poesia si apre con un’istanza diretta e chiara: “Non uccidete il mare, / la libellula, il vento”: queste parole richiamano un’immagine vivida di un mondo naturale minacciato dall’azione sconsiderata dell’uomo.
Il “lamantino”, con il suo “lamento” che Caproni suggerisce di non soffocare, diventa un simbolo della sofferenza inflitta agli esseri viventi dalla nostra mancanza di cura e attenzione.
Tante le realtà della natura minacciate: “Il galagone, il pino”. L’uso del termine “anche di questo è fatto / l’uomo“ mette in evidenza come l’uomo sia profondamente connesso con il mondo naturale e quanto ne sia parte integrante.
L’incipit sembra un invito ad avere considerazione, sollecitudine, custodia di tutto ciò che è un dono senza mai dimenticare la nostra relazione connessa con il mondo naturale. L’autore continua a sottolineare che l’amore finisce dove finisce l’erba e l’acqua muore. Questa potente affermazione mette in discussione il nostro concetto di amore e bellezza, suggerendo che senza un ambiente naturale sano e incontaminato, l’amore e la bellezza stessa non possono esistere, sfioriscono, muoiono.
Caproni avverte che, se l’uomo continua a devastare l’ambiente, ciò che resterà sarà solo un “paese guasto” in cui chiunque rimanga si chiederà come potrebbe tornare la bellezza una volta scomparsi l’uomo e la terra. Queste parole finali contengono un senso di tristezza e disperazione di fronte alla possibilità di un mondo senza più meraviglia, senza più armonia, senza più vita.