La solennità dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato è un evento profondamente radicato nella cultura e nelle tradizioni di Lecce, una celebrazione che ogni anno unisce la comunità in un momento di fede, devozione e festa.
Sant’Oronzo, compatrono della città, rappresenta un simbolo di protezione e guida spirituale per i leccesi, che onorano la sua memoria con una serie di eventi religiosi e civili.
Intensa e partecipata celebrazione si è svolta ieri sera presso la Cattedrale di Lecce con il solenne pontificale presieduto dal cardinale Angelo De Donatis*, Penitenziere Maggiore, un discorso che ha saputo toccare il cuore dei fedeli, offrendo spunti di riflessione sul significato della fede e della comunità in un mondo in costante cambiamento. L’omelia pronunciata dal cardinale durante il pontificale della festa patronale di Lecce, che riportiamo integralmente in allegato, rappresenta un momento di profonda meditazione spirituale e un invito a riscoprire i valori fondamentali della nostra tradizione cristiana, illuminati dall’esempio di Sant’Oronzo.
*Il card. De Donatis,
Messa in occasione della solennità di sant’Oronzo
OMELIA DEL CARDINALE ANGELO DE DONATIS
Cattedrale Metropolitana di Santa Maria Assunta, Lecce, 26 agosto 2024
Carissimi confratelli vescovi,
Cari sacerdoti, diaconi e seminaristi,
Cari religiosi e religiose,
Stimati rappresentanti delle Istituzioni,
Sorelle e fratelli nel Signore,
giunga a tutti voi – e soprattutto agli anziani e agli ammalati che ci seguono da casa attraverso Portalecce e Telerama – il saluto della pace e della speranza.
È con immensa gioia che ho accolto l’invito del vostro arcivescovo Michele a essere oggi in mezzo a voi, in questa antica chiesa cattedrale, per celebrare i divini misteri e festeggiare con voi la bellezza della santità di Dio che rifulge nei Patroni della città e della Chiesa di Lecce, i Santi Oronzo, Giusto e Fortunato. Anch’io, infatti, sono nato nel Salento, figlio di questa terra benedetta e fecondata dal loro martirio.
Uomini virtuosi – ci ha ricordato la prima Lettura – i cui meriti non furono dimenticati”. “I popoli – continua il Libro del Siracide – parlano della loro sapienza, l’assemblea ne proclama le lodi”.
Quali sono, dunque, i loro grandi meriti che non possiamo e non dobbiamo dimenticare? Essi per primi ci hanno parlato di Gesù, ci hanno raccontato il suo Vangelo e lo hanno fatto a costo della vita, seminando in questa terra quella fede in Cristo che ancora anima le nostre comunità e orienta le nostre esistenze.
Tutti e tre, con in testa Oronzo, primo vescovo di questa città, ebbero la grazia di comprendere il significato più profondo di quanto un giorno Gesù aveva detto agli apostoli: “Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio” (Gv. 15, 15).
Essi, pur essendo cresciuti in un ambiente pagano, hanno saputo riconoscere in Gesù Cristo il volto di un Dio di cui poter essere amici, e non una divinità lontana, da temere, da servire o da placare. Per vocazione, hanno compreso che amare Dio e amare i fratelli è tutto ciò che dà davvero senso alla vita e hanno portato a compimento quanto abbiamo ascoltato nel Vangelo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv. 15, 13).
Oronzo, però, ha cambiato vita quando, dopo aver ascoltato Giusto, discepolo dell’Apostolo Paolo, naufrago sulle coste di San Cataldo (eventuale digressione sul Salento terra di immigrazione e di accoglienza), è rimasto folgorato dall’annuncio della “Bella
notizia”. Ha svestito gli abiti sbiaditi del paganesimo e ha indossato la veste candida dei battezzati; ha abbandonato le false promesse degli idoli e ha scelto la Speranza che è Gesù di Nazareth.
Anche Sant’Oronzo però ha avuto bisogno di un testimone, di qualcuno che gli parlasse di Gesù e che fosse per lui modello di sequela e discepolato. Solo dopo aver conosciuto la novità del Vangelo, Oronzo si è messo in gioco, diventando, a sua volta, testimone autentico del Vangelo.
Diceva Papa Francesco all’Angelus della Solennità dei Santi Pietro e Paolo di tre anni fa: “È triste vedere che tanti parlano, commentano e dibattono, ma pochi testimoniano. I testimoni non si perdono in parole, ma portano frutto. I testimoni non si lamentano degli altri e del mondo, ma cominciano da sé stessi. Ci ricordano che Dio non va dimostrato, ma mostrato con la propria testimonianza; non annunciato con proclami, ma testimoniato con l’esempio. Questo si chiama mettere la vita in gioco”.
Se ci fate caso, fratelli e sorelle, a me sembra che il contesto storico in cui viviamo non sia poi molto differente da quello in cui Oronzo ha ricevuto il dono del martirio per la fede. La secolarizzazione dilagante e le moderne forme di paganesimo rendono sempre più arduo scegliere di seguire Cristo nella radicalità e bellezza del Vangelo.
Vi confido che ogni volta che torno in auto nel Salento non posso non accorgermi, con sofferenza, di quanto siano diventate desolate le nostre campagne a causa della diffusione della xylella. I nostri ulivi secolari, pur così robusti e ben radicati nel terreno, hanno perso quella linfa vitale che dà vita e colore ai propri rami, caricandoli di olive da cui viene il buon olio che allieta le tavole e allevia le ferite. Quest’immagine di desolazione deve diventare per noi un monito: anche l’albero della nostra fede e delle nostre tradizioni, pur essendo ben piantato nella nostra storia, oggi inizia a rinsecchire, a perdere colore e a dare sempre meno frutto. Nessuno di noi dovrebbe dare per scontato che la fede potrà accompagnare, sostenere e illuminare la vita delle prossime generazioni, senza una personale e coraggiosa assunzione di responsabilità da parte di ciascuno di noi nel coltivare la propria missione di testimonianza.
I martiri però ci incoraggiano a guardare ai nostri giorni non come a un’epoca storica buia ma come a un tempo di grazia, a un’occasione propizia per testimoniare con autenticità la bellezza dell’essere amici di Gesù, proprio come hanno fatto loro.
Testimoni nella vita consacrata
Abbiamo bisogno di donne e uomini coraggiosi che, nella vita religiosa e nei monasteri di clausura, che ancora arricchiscono la vita di fede delle nostre comunità salentine, continuino a farsi testimoni, già fin d’ora qui in terra, di una relazione d’amore speciale ed esclusiva con Dio. Ne ha bisogno non solo la Chiesa ma il Mondo, che fatica sempre più ad aprirsi ai valori dello spirito e a ricercare il senso ultimo delle cose che esistono e delle scelte che si compiono.
Testimoni nella vita pubblica
Abbiamo bisogno di autentici testimoni anche nella via politica e sociale. Amministratori locali che, nelle piccole cose, possano coltivare l’amore per la propria terra e la dedizione alla propria gente. Spesso il Santo Padre ha parlato delle “vicinanze” del prete nei confronti di Dio e degli altri. Mi piace pensare però quest’oggi alle “vicinanze” alle quali è chiamato anche ogni sindaco, ogni assessore o consigliere, ogni funzionario o impiegato dei nostri Comuni. Vicinanza ai bisogni educativi dei bambini, vicinanza alle esigenze di legalità e di tutela dell’ambiente, vicinanza al mondo del lavoro e ai disoccupati, vicinanza ai malati e agli anziani, vicinanza a chi è rimasto solo. Abbiamo bisogno di amministratori che diventino “ministri”, non perché capaci di percorrere brillanti carriere politiche, ma per essere invece totalmente al servizio dei loro fratelli.
Testimoni nelle nostre famiglie
Se in Europa c’è un posto in cui ancora la famiglia conserva centralità per la vita delle persone, quel posto è certamente il Sud Italia. I nostri genitori e i nostri nonni, infatti, continuano a essere il porto sicuro in cui rifugiarsi nei momenti di difficoltà, quando si perde il lavoro, quando ci si divide o quando ci si ammala. Eppure, anche ormai qui da noi, la famiglia è minacciata dalle logiche dell’individualismo e talvolta dell’indifferenza. Abbiamo bisogno di testimoni coraggiosi della bellezza di formare una famiglia, di persone che nonostante tante difficoltà si sforzano di tenere unita la propria famiglia, di uomini e donne che sappiano prendersi cura gli uni degli altri, di sposi e genitori capaci di formare onesti cittadini e buoni cristiani.
Testimoni per i giovani
Mi rivolgo a voi sacerdoti, a voi padri e madri, a voi che lavorate con i giovani nella scuola, nelle associazioni, nei movimenti, a voi rappresentanti delle istituzioni che avete il delicato compito delle scelte per il bene comune: come adulti e come cristiani siamo chiamati a farci responsabilmente carico delle sfide che i giovani pongono davanti ai nostri occhi. Siamo chiamati a riconoscere e apprezzare i valori che i giovani di oggi coltivano e le risorse che essi si portano dentro. Come per Oronzo la testimonianza di San Giusto è stata decisiva, così per i nostri ragazzi il nostro esempio sarà fondamentale: solo così potranno sprigionare in positivo la bellezza e la creatività della loro età. Finché, invece, continueremo a lamentarci dei nostri ragazzi perché si sentono attratti dai falsi idoli, se ci limiteremo alla lamentazione… non riusciremo mai ad adempiere al nostro compito di educatori.
Ma per far questo in modo credibile, ciascuno di noi deve avere l’umiltà di tornare a scuola! Alla scuola del Maestro Gesù, vero modello di ogni educatore alla scuola di colui che – di fronte a coloro che credevano che i ragazzi fossero un fastidio – ha chiaramente affermato: “Lasciate che i piccoli, cioè i giovani, vengano a me!” (Mc. 10, 14).
Il libro su cui studiare non ci manca, è il Vangelo! E nemmeno tanti buoni esempi: questa diocesi e il Salento, oltre a Oronzo, Giusto e Fortunato, ne annoverano un lungo elenco. Penso ai Martiri di Otranto, penso a San Filippo Smaldone, a don Tonino Bello, a don Ugo De Blasi, a don Nicola Riezzo, a frà Giuseppe Ghezzi, a Luigia Mazzotta, a Madre Santina De Pascali. E poi ai tanti “testimoni della porta accanto” che, senza fare rumore, hanno trasformato la loro vita in una lezione di Vangelo, ricchezza per tutti.
Non ci manca nulla, fratelli e sorelle, per portare a termine la nostra missione di testimonianza. Alcuni amici preti di questa Chiesa mi hanno ben informato di quanto vi impegnate per farvi prossimi ai nostri ragazzi attraverso il servizio di pastorale giovanile e l’associazionismo cattolico… fino ad accettare la sfida di stare con loro proponendo l’esperienza della preghiera, la grazia dei sacramenti e un’alternativa valoriale che possa dare un orientamento al loro vivere quotidiano.
Come anche sono a conoscenza dell’impegno con cui procede il vostro cammino sinodale che, di recente, si è concentrato sui nuovi linguaggi dell’evangelizzazione ponendo alla vostra riflessione non tanto l’approfondimento di contenuti teologici ma la conoscenza di esperienze di conversione, di concreti cammini di fede, di testimoni nostri contemporanei.
È la strada giusta, fratelli e sorelle miei. È la strada della Speranza che non illude e non delude, è la strada che ci proporrà per tutto il 2025 il Giubileo, indetto da Papa Francesco, e offerto dalla Chiesa come cammino di conversione e di riscoperta della nostra fiducia nella misericordia di Dio.
A tutti noi, il compito di pregare: mi crea una certa suggestione il fatto che il nome Oronzo con ogni probabilità tragga la sua origine dal latino “oro, oras, orare”, cioè dal verbo pregare. Anche nell’incontro con il Signore egli è per noi modello e testimone. Non ci resta dunque che seguire i suoi insegnamenti.
La bellezza e la varietà di questa nostra assemblea liturgica, arricchita dalla presenza di storie, volti e vocazioni così diverse, ci mostra ancora una volta il miracolo che i nostri Santi Patroni non si stancano di compiere in mezzo a noi e per noi: il miracolo dell’unità del Popolo di Dio in un mondo così spesso “lacerato da lotte e discordie”.
L’intercessione della Vergine Assunta, che abbiamo celebrato pochi giorni fa e alla quale questo tempio è intitolato, e la protezione dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato ci aiutino a non scoraggiarci mai di fronte alle difficoltà della vita e a camminare insieme verso il Signore che ci ama e ci vuole santi. Amen.
Omelia S Oronzo 2024 Cardinale De Donatis (pdf da scaricare)