È inutile negarlo, non c’è più sinistra e destra. Ora la dicotomia è tra “eletti” ed elettori. Per come stanno le cose, potremmo dare alla parola “eletti” il più profondo e religioso significato di “prediletti” dal momento che, una volta eletta, la nostra classe politica, impossessatasi dei privilegi, dimentica il motivo per cui è stata eletta, così come dimentica le promesse elettorali ed il popolo a cui ha chiesto, senza dare.
È anche vero che la dicotomia spiega i conflitti tra popolo e potenti, aristocrazia e volgo, patrizi e plebei, classe dominante e massa, e finché c’è la massa si vedrà di tutto, poiché la massa è facilmente manipolabile per via della sua scarsa acculturazione e scolarizzazione. Così in essa si diffondono modelli estetici e comportamentali spesso banali e triviali, nel gusto, nello stile e nel linguaggio, che sfociano nel trash e fanno dominare il kitsch.
In termini più semplicistici, qualcuno manipola i gusti, sollecita i desideri e veicola le masse dato che esse sono suggestionabili poiché superficiali, ignoranti e non dotate di intelligenza critica. Ma se la massa è un popolo senza identità, che si accoda alle mode del momento, senza pensiero critico, gli eletti (o prediletti), anche se potenti, non sono l’élite.
L’élite è rappresentata dai migliori, dalla vera classe dirigente. Gli eletti, non sono i migliori, ma solo la classe dominante, la casta, le oligarchie, quelle che traggono profitto dalle “debolezze” della massa sovrastandola. Esse non si assumono alcuna responsabilità, ma solo privilegi e non possono fare a meno dell’élite. Nessuno può fare a meno dell’élite poiché essa rappresenta il merito e l’eccellenza, doti necessarie da incuneare tra la classe dominante e il popolo.
La mancata considerazione delle eccellenze ricade negativamente sulle scelte delle oligarchie e spiega la scarsa qualità della classe dominante, che non sarà mai dirigente, sottoposta solo ad un meccanismo elettorale. Peccato che per un buon governo occorre anche la qualità delle decisioni, oltre che dei decisori.
Concludendo, bisogna liberarsi del rancore che accompagna il populismo distinguendo tra classe dirigente e classe dominante e ricordando che la critica al materialismo e alla demagogia umanitaria ha avuto i suoi natali col pensiero aristocratico, con la contrapposizione della qualità alla quantità.
Per criticare la cultura dominante bisogna essere colti e preparati, al fine di non incorrere nel rischio di passare da una civiltà contadina, con i suoi limiti, ma con i suoi grandi pregi, all’attuale civiltà cafona, che arriva dritta alla negazione della capacità e del merito, diffondendo modelli improponibili di volgarità e ignoranza.
Poi non lamentiamoci se navighiamo costantemente tra arroganti e ignoranti, incapaci finanche di “autoproclamarsi” classe dirigente.