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domenica, Settembre 8, 2024

Reddito di cittadinanza: una minaccia per la democrazia

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

“Se tu paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, non esser sorpreso se produci disoccupazione”.

     Milton Friedman

Mi piace aprire questo articolo con l’esplicito, quanto efficace, pensiero del famoso economista. Efficace perché non credo che qualcuno possa confutarla senza rischiare di risultare ridicolo.

Il concetto è assolutamente semplice. La pressione fiscale in Italia si è assestata nel 2019 intorno al 42,4%, con una crescita rispetto al 2018 dello 0,4% e con aspettative di crescita fino al 2022. Per i meno esperti, la pressione fiscale è il rapporto tra il gettito fiscale ed il prodotto interno lordo (Pil), ovverosia, per la serie “parla come mangi”, la quantità di tasse che i cittadini pagano sul reddito che producono.

Ora, chi produce reddito è il cittadino che lavora. Chi non lavora, qualunque sia il motivo, non produce reddito. Mettiamo che, ad un certo punto, una legge dello Stato istituisca il reddito di cittadinanza causando un aumento della spesa pubblica, il fisco è costretto a prelevare più tasse per coprire tali spese, di conseguenza, la pressione fiscale aumenta. In sostanza, chi lavora continuerà a pagare le tasse che non basteranno più a coprire la spesa pubblica, nella quale sono compresi tutti i sussidi che lo Stato paga a chi non lavora e le tasse dovranno aumentare. Le imprese, che si vedranno aumentare la pressione fiscale, chiuderanno o si trasferiranno all’estero, perché non ce la faranno a pagare le tasse, quindi licenzieranno e la disoccupazione crescerà.

In parole povere, e per certi versi inesatte per via della estrema sintesi, così si riassume il pensiero di Milton Friedman.

Chiarito il concetto economico, è opportuno comprendere cosa spinge un paese come l’Italia ad inserire misure “sociali” come il reddito di cittadinanza? E qui, cari lettori, viene il difficile, in quanto dobbiamo parlare di politica e la politica, si sa, è una cosa seria.

Cos’è che spinge un legislatore a introdurre il reddito di cittadinanza che non fa altro che dare ragione a Friedman? Il clientelismo? La ricerca del consenso elettorale? Certo! Quella del reddito di cittadinanza è un’azione che guadagna sostenitori giorno dopo giorno, mano a mano che gli utenti ne usufruiscono, ma è molto pericoloso, in quanto disincentiva il merito e la formazione e lega i cittadini a un rapporto insano e perverso con la politica. E non è vero che combatte la povertà. Uno degli acquisti più frequenti fatto con il reddito di cittadinanza è stato il Dom Pérignon e, francamente, non credo che i poveri spendano tanti soldi nello champagne se hanno problemi di “fame”. Inoltre, non mi è sembrato di vedere miglioramenti sociali da quando esso è in vigore.

Siamo realisti. Nell’estate appena passata gli operatori del turismo hanno avuto problemi a reperire manodopera perché molti dipendenti dell’anno prima hanno preferito il reddito di cittadinanza al lavoro. Ovvio. Per lavorare bisogna averne voglia e, soprattutto, bisogna avere dignità. Il lavoro non c’è per tutti, si dice. Ma anche quando c’è, nessuno lo vuole e la prova l’abbiamo avuta e continuiamo ad averla. 

La verità è che il reddito di cittadinanza è uno strumento che rende gli individui dipendenti dalla politica perché riduce, se non elimina, la voglia degli individui, giovani in particolare, a conseguire titoli di studio, esperienze di formazione e lavorative. Un cittadino che riceve un sussidio viene spinto alla pigrizia e alla dipendenza dalla politica. In realtà, il reddito di cittadinanza non è altro che l’istituzionalizzazione del clientelismo. Pensate a cosa succederà, perché succederà, quando un nuovo Governo sarà costretto ad abrogare la legge istitutiva del reddito di cittadinanza! Chi ne usufruisce, avendo il più delle volte rinunciato alla formazione, allo studio o al lavoro, sarà “inoccupabile”, cioè non avrà né la formazione, né la possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro che, intanto, si è adeguato alla globalizzazione.

La soluzione più semplice sarebbe quella di correre dal politico di riferimento a chiedere una nuova forma di assistenza. Insomma, si scivolerebbe sempre di più verso forme di assistenzialismo, che altro non è se non clientelismo, che uccide la democrazia, distrugge le istituzioni e trucida l’economia.

I danni etico-politici, istituzionali ed economici sarebbero irreparabili perché di fatto, dal punto di vista socio-economico, nessuna società può essere veramente felice se la maggior parte dei suoi individui è povera.

Allora, penso: non sarebbe più giusto ridurre al minimo queste misure che invitano all’ozio e creare, in alternativa, dei meccanismi che riducano la pressione fiscale, come ad esempio una “no tax area”, all’interno della quale i redditi non siano tassati. In tal modo tutti ne trarrebbero vantaggio. Le imprese pagherebbero meno imposte, i lavoratori avrebbero più reddito da spendere, lo Stato diminuirebbe la spesa pubblica e, soprattutto, la democrazia trionferebbe.

I politici? Dovrebbero inventarsene un’altra per essere eletti. Magari inizierebbero a pensare al bene del Paese.

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