Solitamente si scrive di Aldo Moro con riferimento ai tanti misteri che la sua tragica vicenda ha lasciato.
Dirò invece dell’uomo per come io l’ho conosciuto “de relato” direbbero i giuristi.
Era l’anno 1977 e frequentavo l’Università di Bari, facoltà di Giurisprudenza.
Il professor Renato Dell’Andro era il docente di Filosofia del Diritto. Già magistrato, insigne giurista, politico e giudice costituzionale era stato allievo prediletto di Aldo Moro.
Soleva trattenere noi studenti per raccontare della genesi della Filosofia del Diritto secondo l’ispirazione del ‘Moropensiero’ e dopo la tragica fine dello statista, avvenuta l’anno successivo, non perdeva occasione di comunicare ai giovani di quel tempo un concetto forte e saldo: al centro del pensiero di Moro c’è sempre stata la PERSONA.
3 Novembre 1941, Università di Bari. Lezione del giovanissimo professor Aldo Moro. Dopo aver detto “buongiorno”, aggiunge “ la persona prima di tutto”. Questa frase è un valore e costituisce l’input della vita e della morte di Aldo Moro.
E il 3 Novembre del ’41 non era facile dire queste parole; sui muri delle nostre città si scriveva “ vietato pensare”, agli illuminati spesso di diceva “ spegnete quei cervelli”.
Nel Giugno del 1946 con la vittoria della Repubblica sulla Monarchia, Aldo Moro è eletto alla Costituente e si impegna nella commissione dei 75 marcando la Costituzione con la sua idea di Persona.
Epico è il suo intervento quando spiega che nello Statuto Albertino il Re concedeva i diritti ai sudditi e che nella Costituzione non basta sostituire la parola sudditi con cittadini, occorre sancire che “ lo Stato riconosce i diritti alla Persona”.
Duro scontro con Calamandrei. Moro si impone sull’affermazione del ruolo della persona e non del cittadino, perché la persona viene prima del cittadino e i diritti fondamentali dell’uomo, i diritti alla libertà personale, religiosa, politica, culturale, il diritto alla salute, il diritto al lavoro sono tutti diritti connessi alla persona.
Moro dice che il giorno in cui qualcuno negherà questi diritti, lo Stato democratico non esisterà più, ecco perché il riconoscimento, non la concessione dei diritti alla persona.
Allo stesso tempo Moro studia, insieme a giovani amici commilitoni professori universitari, uno dei problemi su cui impronterà il suo impegno politico: la cultura, la scuola, l’alfabetizzazione del popolo italiano.
Nel ’46 il dato in Italia è assai preoccupante: oltre il 18% della popolazione non sa leggere e scrivere con picco del 30-40% nelle Isole e in Calabria .
Moro capisce che non basta approvare la Costituzione e votare la Repubblica, occorre educare gli italiani.
È ossessionato dall’idea della scuola. L’obbligo di scolarizzazione si ferma alla 5^ elementare ma non c’è alcuna penalizzazione per i genitori che non mandano i figli a scuola. Una società povera in cui Il bracciante, l’artigiano, l’operaio porta con sé il figlio di cinque, sei, sette anni a lavorare perché così produrrà per la famiglia un aumento di paga di qualche centesimo .
Un aneddoto. Nel 1958 la Rai in bianco e nero promuove un programma per educare gli italiani alla scolarizzazione di base. Il Direttore Generale della Rai comunica a Moro che tra i tanti selezionati, il maestro più bravo è stato individuato, ma ha un grave problema. Chiede spiegazioni ed il direttore gli dice che il maestro è comunista. A quel punto Moro sorridendo gli risponde: “io sono democristiano e lui è comunista, ma a me interessa solo educare gli italiani”. Penso tristemente alle nomine che oggi la politica partorisce.
Moro riesce ad ottenere solo con il suo governo del 1963, finalmente e dopo anni di lotta politica, l’obbligatorietà della scolarizzazione sino alla scuola media. E viene attaccato dai giornali dell’epoca, dal Borghese, dal Tempo. È inconcepibile per quel tempo che il figlio del bracciante debba sedersi alla stesso scrittoio del figlio del medico, dell’avvocato. È l’Italia basata sul censo e Moro dice che non può fondarsi sul reddito ma sul merito e il costo dello Stato per istruire il figlio di un bracciante non va inteso come costo ma come investimento.
Senza cultura non c’è speranza, non c’è crescita sociale, non c’è sviluppo.
Oggi sono concetti acquisiti come normali da tutti, ma a quei tempi non era così .
È un Leonardo Da Vinci, un Michelangelo. Moro anticipa di cinquant’anni le intuizioni della nostra repubblica.