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venerdì, Luglio 26, 2024

Misure di tutela e salvaguardia delle acque

Da Leggere

Salvatore Francioso
Salvatore Francioso
Funzionario del Servizio Tutela e Valorizzazione Ambiente Provincia di Lecce

Con il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) il legislatore, nel recepire nell’ordinamento italiano la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, ha provveduto al riordino, al coordinamento e all’integrazione delle disposizioni legislative in materia ambientale.

In tale ambito, con riferimento alla materia tutela delle acque, è stata riservata l’intera Sezione II, della parte III, che ha innovato la precedente normativa dettata dal D. Lgs. 152/1999.

Gli strumenti di tutela individuati sono rappresentati dai “Piani di gestione”, a scala di distretto idrografico, e dai “Piani di tutela delle acque”, questi ultimi di competenza della Regione.

La Regione Puglia, con la Deliberazione di Giunta n. 883 del 19 giugno 2007, ha adottato, ai sensi dell’art. 121 del D. Lgs. N. 152/2006, il “Progetto di piano di tutela delle acque (PTA)”.

Con tale provvedimento furono adottate le prime misure di salvaguardia, relative ad aspetti per i quali appariva urgente e indispensabile anticipare l’applicazione delle misure di tutela che lo stesso strumento definitivo di pianificazione e programmazione regionale deve contenere.

Tale determinazione si era resa necessaria in quanto le risultanze delle attività conoscitive, messe in campo per la redazione del piano, avevano fatto emergere la sussistenza di una serie di criticità sul territorio regionale, soprattutto con riferimento alle risorse idriche sotterranee, soggette a fenomeni di depauperamento, salinizzazione delle acque di falda ivi circolanti, a pressione antropica in senso lato.

Ad esempio, nell’area centrale della penisola salentina contenente la falda idrica di qualità, ha istituito delle zone a tutela della qualità della falda, laddove non possono essere concesse o rinnovate le autorizzazioni all’emungimento in presenza di concentrazioni di cloruri superiori a 500 mg/l e di residuo fisso a 180°C superiore a 1000 mg/l, che significano un pericolo di intrusione di acqua marina nella falda.

Con la Deliberazione del Consiglio Regionale Puglia n. 230 del 20/10/2009 è stato approvato in via definitiva il Piano di tutela delle acque della Regione Puglia – Articolo 121 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Atteso che la regione Puglia presenta una situazione idrologica-ambientale caratterizzata da scarsa disponibilità idrica superficiale naturale, nella penisola salentina le riserve idriche sotterranee costituiscono l’unica risorsa autoctona presente e devono essere pertanto tutelate.

Questa condizione viene esasperata dai fenomeni climatici della scarsa piovosità e della crescente desertificazione, aggravati dal costante innalzamento della temperatura media a livello globale.

Gli acquiferi sotterranei sono delle riserve di acqua che impregnano strati di roccia calcarea porosa, più o meno fratturata (carsismo), circolando attraverso di essi come farebbe l’acqua attraverso i pori e i microtubuli, tra loro comunicanti di una spugna, senza soluzione di continuità. A volte la riserva idrica poggia su strati di roccia impermeabile a formare riserve più o meno estese, isolate le une dalle altre (si parla in tal caso di falda superficiale); ma a livello più profondo è presente una unica falda estesa, che costituisce la vera risorsa, un lago sotterraneo, una lente biconvessa più spessa al centro, orientata nel verso della penisola, più sottile e degradante verso le coste, che poggia sull’acqua marina.

Come un fiume senza sponde scorre per gravità dai livelli più alti ai livelli più bassi, dall’interno verso la costa, con un gradiente estremamente basso; ciò comporta la possibilità di richiamo di acqua salata dal mare a causa di emungimenti di pozzi con portate elevate (utilizzo improprio di pozzi ad uso irriguo).

Quindi, per l’acquifero del Salento, che può essere considerato un acquifero costiero, un emungimento non regolamentato può impoverire la falda diminuendone le riserve, e può danneggiarla dal punto di vista qualitativo, a causa dell’intrusione salina.

La concessione di autorizzazione all’emungimento (perforazione di nuovi pozzi) è disciplinata dalla Legge Regionale 5/5/1999 n. 18, “Disposizioni in materia di ricerca ed utilizzazione di acque sotterranee”.

In fase progettuale occorre prevedere che le pareti del pozzo siano incamiciate e cementata l’intercapedine fra rivestimento e foro, per evitare la contaminazione della falda profonda con mescolamenti indesiderati (travasi) della falda superficiale, notoriamente più vulnerabile e frequentemente già contaminata da percolazioni del suolo superficiale.

Attualmente il problema principale è il prelievo di acqua non autorizzato, si stima che a fronte di circa 60.000 pozzi autorizzati nella provincia di Lecce, ve ne siano almeno 120.000 totalmente abusivi, realizzati senza alcuna delle precauzioni di tutela della qualità dell’acqua.

Alla luce di quanto sinteticamente riportato innanzi le principali azioni di salvaguardia dovranno essere mirate a:

  • mantenere in esercizio il sistema di monitoraggio delle acque sotterranee, ed in particolare quello quantitativo;
  • ridurre l’entità dei prelievi dai corpi idrici sotterranei nelle aree in cui questi manifestano problemi di depauperamento o alterazione dello stato qualitativo indotto da sovrasfruttamento;
  • intraprendere azioni nei confronti degli agricoltori di sensibilizzazione alla scelta di colture poco idroesigenti e/o a ciclo autunno-invernale, e all’adozione di tecniche di irrigazione che consentano una riduzione dei volumi utilizzati, nonché di corretto uso di concimi e prodotti antiparassitari;
  • intraprendere azioni di riordino delle utenze nelle aree critiche attraverso il censimento, in sito, delle opere di captazione realizzate ed utilizzate abusivamente;
  • favorire, ove possibile, per i settori industriali ed irrigui, il riuso delle acque reflue depurate in sostituzione dei prelievi dalle falde;
  • ridurre l’uso di concimi azotati e dei fitofarmaci attraverso l’applicazione rigorosa del Codice di Buona Pratica Agricola, con eventuali incentivazioni.

Una ulteriore problematica riguarda il recapito finale delle acque reflue in uscita dai depuratori delle reti fognarie cittadine: dopo il divieto posto dalla Regione di scaricare nei pozzi, come veniva fatto in passato, sono stati realizzati scarichi a mare e sul suolo, sempre nel rispetto dei limiti della Tab. 3 (nel primo caso) e della Tab. (nel secondo caso) 4 dell’Allegato 5 alla parte III del D. Lgs. n. 152/2006.

La presenza di centri abitativi costieri, a vocazione turistica, nelle vicinanze degli scarichi a mare e la vulnerabilità degli acquiferi sotterranei hanno di fatto portato a situazioni di criticità ambientale, che il PTA intende contrastare, sostituendo tali recapiti con alternative compatibili e incentivando le pratiche di riuso.

La pratica del riutilizzo delle acque depurate, previo ulteriore trattamento di affinamento, ad esempio con la fitodepurazione, consente anche il recupero di volumi idrici consistenti; ad esempio il riutilizzo in agricoltura dei reflui nel caso di Uggiano la Chiesa, e l’analogo riutilizzo ad Otranto, con previsione di scarico nella condotta sottomarina nei periodi non irrigui.

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