Il Giornale del Salento

Ustica, 27 giugno 1980

Oggi sono quarant’anni da quella sera stellata del 27 giugno del 1980 quando un DC9 della compagnia Itavia con 81 persone a bordo, tra cui 16 bambini, decollato da Bologna e diretto a Palermo, esplose nel cielo tra le isole di Ponza e di Ustica.

Quella strage resta ancora oggi un grande giallo internazionale.

Eppure ci sono due sentenze della Cassazione Civile che hanno stabilito che quel DC9 fu abbattuto da un missile nel corso di un episodio di guerra aerea in tempo di pace, avvenuto nello spazio aereo controllato dall’Italia.  Le due sentenze hanno stabilito che il Governo Italiano ed in particolare i Ministeri della Difesa e dei Trasporti, essendo responsabili di quanto avvenuto, dovranno risarcire i familiari delle vittime.

Ma troppi lati oscuri ad oggi non sono stati ancora illuminati, troppe domande son rimaste senza risposta.

Il relitto del DC9 giaceva nel mare a 3.700 metri di profondità:  è il luogo della memoria di 81 vittime innocenti.

I familiari delle vittime si incontrano ogni anno il 27 giugno presso il Museo della Memoria di Ustica a Bologna per ricordare i loro cari, anche a distanza di quarant’anni da quel giorno in cui la loro vita è cambiata per sempre.

Bologna 27 Giugno 1980 sono le 20 e i passeggeri del DC9 volo 870 si preparano ad imbarcarsi per Palermo, la maggior parte di loro sta andando in vacanza.

Un’ora più tardi, alle 20,56 la torre di controllo di Roma ha l’ultimo contatto con i piloti. Alle 21,06 la torre di controllo lancia l’allarme.

La mattina seguente le squadre di soccorso rinvengono i resti dell’aereo al nord dell’isola di Ustica nel mar Tirreno e i corpi senza vita di 38 passeggeri, i resti degli altri 43 non saranno mai  ritrovati.

Ancora oggi la visione del corpicino galleggiante in mare di una bambina, dalle sembianze di una bambola gettata in acqua, procurano tristezza ed angoscia.

Che si tratti di un intrigo internazionale non c’è ormai alcun dubbio, immaginiamo una partita a poker con quattro giocatori: Stati Uniti, Francia, Libia e Italia.

Nel 1999 il giudice Rosario Priore ricostruisce uno scenario di guerra aerea al centro del quale si sarebbe trovato inconsapevolmente il DC9. Ha guidato la commissione d’inchiesta per quattordici anni. Le sue indagini hanno prodotto oltre cinquemila pagine di rapporti basati su perizie tecniche e dichiarazioni di testimoni.

Cosa ha causato l’incidente all’aereomobile dell’Itavia?

Il cedimento strutturale dell’aereo fu subito escluso.

Ci fu anche una seconda tesi, facilmente confutabile, quello dell’errore del pilota. Ma il pilota aveva parlato sino a pochi secondi prima e lui stesso descrive condizioni ottimali per la navigazione, cielo sereno, mare calmo, una serata ideale per volare.

E inoltre, in caso di guasto o errore del pilota, l’equipaggio avrebbe avuto il tempo di chiedere aiuto, ma non ci fu nessuna richiesta di aiuto.

Fu esclusa anche la spiegazione di una bomba fatta esplodere da un dirottatore, ma le parti dell’aereo risultarono intatte mentre un’esplosione ne avrebbe causato la deflagrazione.

L’aereo sparì nel nulla.

A circa quattro miglia da Napoli sostava nel mare la Saratoga, una portaerei militare americana.

Nel 1980 nel bacino del Mediterraneo stazionavano aerei da guerra della Nato. È  il culmine della guerra fredda. Sul Mar Tirreno non è attiva solo l’Aereonautica Militare Italiana, ma anche quella americana, inglese, francese e tedesca.

Si fa subito strada l’ipotesi più plausibile ma altrettanto inconfessabile: l’abbattimento, ma viene tassativamente negata dall’Aereonautica Italiana, sostenendo che lo spazio aereo sopra Ustica era sgombro.

Nel Luglio del 1982 l’esperto di sicurezza aerea statunitense Jhon McDal fornisce per la prima volta prove concrete della effettiva presenza di caccia intercettori nelle vicinanze del DC9. Le prove si basano su registrazioni radar delle torri di controllo di Roma Fiumicino. E scopre che alle ore 20 e 58 minuti  e 11 secondi, 1 minuto prima che il DC9 sparisse, il radar mostrava  oggetti nelle vicinanze, per McDal sono sicuramente oggetti militari.

Ma perché abbattere un aereo di linea nei cieli di un paese dell’Europa Occidentale?

Un’azione di guerra in periodo di pace?

Nel 1980 in Italia vi erano diverse basi Nato.  Situata al confine tra Est ed Ovest, l’Italia aveva un particolare valore strategico.

Nel 1990 l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, sostenne che non c’era alcun segreto da rivelare; nel 2008 nel corso di un’intervista, Cossiga dice una cosa ben diversa, e cioè che i nostri servizi segreti, quando lui era Presidente della Repubblica, informarono lui e l’allora Sottosegretario Giuliano Amato che erano stati i Francesi ad abbattere il DC9 ; i Francesi, aggiunse, sapevano che sarebbe passato l’aereo di Gheddafi e il Colonnello si salvò solo perché il Sismi, segnatamente il generale Santovito, appresa l’informazione, avvisò Gheddafi quando  era appena decollato ed immediatamente virò verso Malta .

Il relitto dell’aereo venne ricostruito in un Hangar di Pratica di Mare vicino Roma.

Alcune verità sono state accertate, anzitutto che quella sera ad accompagnare il volo del DC9  in discesa verso Palermo  c’erano tanti cosidetti  “phantom”, cioè aerei di caccia fantasmi, non identificati. In particolare due certamente libici che si trovavano sotto la pancia del nostro aereo di linea e si nascondevano ai radar, gli altri caccia erano americani, francesi ed anche italiani e la loro funzione era evidentemente quella di abbattere i due Mig libici.

Ecco perché lo scenario reale resta inconfessabile, perché si è trattato di un attacco di guerra in tempo di pace, peraltro avvenuto nel nostro spazio aereo.

E proprio questo rappresenta lo strazio peggiore dei familiari delle vittime, aver cioè capito che, a distanza di quarant’anni ci sono verità accertate da tutte le sentenze dei giudici civili, ma che restano verità inconfessabili e mai confessate dalla nostra Aereonautica Militare per ragioni di convenienze politiche nazionali ed internazionali.

Le 81 persone morte in quell’aereo, i 16 bambini, erano tutti italiani. Se ci fosse stato un francese, un americano, probabilmente la verità sarebbe venuta a galla subito.

Lo stato dei processi: ci sono state  ben 12 sentenze univoche dei giudici civili italiani ed in particolare due sentenze della Cassazione Civile che hanno definitivamente sancito due certezze: anzitutto che ad abbattere il DC9 è stato un missile e che dopo l’evento tragico ci sono stati una serie di gravissimi depistaggi da parte della nostra Aereonautica Militare . In sede penale, invece, ci fu un processo denominato “La strage di Ustica” che vedeva imputati i capi di Stato Maggiore responsabili di alto tradimento per aver nascosto le informazioni necessarie agli organismi giudiziari e politici. La sentenza penale della Corte d’Assise derubricò il reato, favorendo l’assoluzione di tutti i Generali e concluse, ahimè, contravvenendo a tutti i giudicati civili, che probabilmente non si trattò di un missile.  Questa pagina della Magistratura Italiana è vergognosa.

Molti protagonisti di quella tragedia non ci sono più ;  alcuni, troppi , tra i potenziali testimoni morti in modo perlomeno sospetto , si parla di dodici decessi sospetti. Tra loro vi è il Maresciallo Mario Dettori un operatore radar della stazione di Poggio Vallone. Nel marzo del 1987 venne trovato impiccato ad un albero ad un’altezza di 40 centimetri. E poi i due piloti delle frecce tricolori Mario Naldini e Ivo Montanelli morti il 28 agosto del 1988 nell’incidente aereo a Ramstein in Germania, in circostanze ancora oggi poco chiare. Erano in volo, quella sera del 1980, a poca distanza dal DC9 ed avevano lanciato per ben due volte l’allarme aereo. Una settimana dopo avrebbero dovuto testimoniare davanti al Giudice Priore.

Il suicidio più strano fu quello del nostro conterraneo Maresciallo Franco Parisi, impiccatosi alla periferia di Lecce il 21 dicembre del 1995. Era di turno in quelle drammatiche ore nella base dell’aereonautica di Otranto.

C’è un altro Maresciallo dell’Aereonautica che parla, è Luciano Carico che contraddice i suoi superiori e dice che dalla base di Marsala, ove operava, vide tra le 20 e 50 e le 20 e 59 sul radar due tracce, all’altezza di Ponza che scendevano assieme al DC9.

Luciano era un sott’ufficiale leccese, ne diventai buon amico nel 1982 quando, da giovane laureato, prestai presso la base dell’aereonautica di Otranto, il servizio militare, allora obbligatorio. Il Maresciallo Carico era il mio responsabile della base operativa del controllo aereo, posta nelle campagne di Otranto.  Era già un uomo provato. Negli anni successivi rimanemmo in contatto ed ogni volta che lo sentivo avvertivo la sensazione di un militare che si sentiva tradito dalla sua stessa arma, talora perseguitato, alcune volte impaurito.

Arriveremo a raccontare l’ultimo miglio di questa vicenda?

Non potranno essere i magistrati da soli a consegnare la verità ai familiari delle vittime, deve essere la politica italiana ed internazionale ad assegnare le responsabilità di un fatto senza precedenti nella storia.

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