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martedì, Novembre 5, 2024

Perché l’immigrazione fa paura

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

Oramai anche la nostra è una società che perde i propri confini identitari a causa del processo di globalizzazione che, per volontà politica o altro, sembra inarrestabile. Alla base di tale processo vi è il flusso migratorio, che secondo Baumann, è il più potente acceleratore del mutamento sociale e, se letto nella giusta dimensione politica, anche un interessante fattore di crescita economica. In effetti la storia ci ha insegnato che l’immigrazione è capace di accelerare il progresso imponendosi come risorsa, ma bisogna ben comprendere quali siano le modalità attraverso le quali ciò possa trovare corrispondenza nella realtà. Nonostante organismi sovranazionali, governi, istituzioni sociali e organizzazioni umanitarie continuino ad occuparsene, l’immigrazione costituisce una problematica complessa alla quale non si riesce a dare soluzioni diverse, adattabili ad ogni Paese europeo o, meglio, del mondo, dato che il problema interessa l’intero pianeta.

La portata attuale del fenomeno ha raggiunto livelli così alti da spingere, sempre più spesso, i governi e le istituzioni politiche, economiche e sociali, ad una seria riflessione, non solo sugli effetti che i crescenti flussi migratori determinano inevitabilmente sui Paesi di destinazione, ma anche su quelli di origine, che subiscono le conseguenze dell’abbandono.

Dinanzi a tale problema le reazioni politiche dei Paesi europei sono molteplici. L’Italia è tra le mete più ambite dagli immigrati, per via della deregolamentazione e dell’alto tasso di assistenzialismo che la caratterizza, ed è proprio per questi motivi che essa ha bisogno di ridefinire le regole sociali, progettando nuovi modelli di welfare e d’integrazione scolastica, di riorganizzare la propria economia in considerazione di tali presenze, che vanno integrate attraverso una formazione adatta ai ruoli che dovranno ricoprire.

Ciò non accade in Italia, dove regna un clima di totale deresponsabilizzazione, che in certi momenti diviene paura, ed è proprio in questo clima che la “questione immigrazione” si è polarizzata su due fronti: per l’accoglienza o contro l’accoglienza, con tutto quanto ne deriva, dato che entrambe le posizioni sono portatrici di visioni antropologico-culturali, filosofiche, etiche e religiose, certamente antitetiche. Così nel nostro Paese, l’aumento considerevole dell’immigrazione, se da un lato ha provocato un rifiuto dell’alteritá, nel nome della salvaguardia del nostro popolo dall’invasione dello straniero, dall’altro ha generato una maggiore attenzione nei suoi confronti.

Così si parla di migranti buoni o cattivi, regolari o irregolari, volendo assumere, tali categorizzazioni, i contorni della definizione “giuridica”, quasi a voler creare un confine legale tra chi può essere accolto e chi no, anche se, negli ultimi tempi, si è trattato più di un’invenzione semantica, che non di una distinzione reale.

Di fatto, attualmente, la figura del migrante, regolare o clandestino, evoca sentimenti di paura ed incertezza, perché essere ospitali significa misurarsi con problematiche correlate alla condizione dell’immigrato, come la disoccupazione, la criminalità, ecc.

Mi hanno colpito le riflessioni del Prof. Giovanni Peri, che studia da anni il fenomeno della migrazione, il quale si chiede perché l’Italia non affronti il tema dei migranti con un diverso approccio, cercando di pianificare la gestione di tale fenomeno, magari coinvolgendo gli stessi migranti che vivono in Italia e che conoscono le tradizioni dei loro conterranei.

Il problema, quindi, esiste e va affrontato immediatamente, senza ulteriori ritardi, di modo che chi arriva in Italia non possa più avere alcuna “scusa” per delinquere. Solo così l’immigrato potrà essere considerato una risorsa.

Regole precise, che vanno fatte rispettare, contingentamento degli arrivi, integrazione dell’immigrato.

Queste alcune proposte per evitare che un popolo sia considerato razzista. L’antirazzismo è tolleranza, ma diviene intolleranza, e non razzismo, quando l’ospite di un Paese ne sfida arrogantemente le regole, abusando finanche della impunità assicurata da un sistema penale incapace di punirlo per gli stessi fatti che, se commessi da un cittadino di quello stesso Paese, rischiano di avere un epilogo molto più severo. Personalmente non so se sia peggiore il razzismo o la tolleranza estrema, quella che permette a qualunque immigrato di commettere crimini efferati nel nostro Paese restando impunito.

Visto in quest’ottica, risulta evidente come il problema non sia il colore della pelle, ma l’arroganza e l’insolenza, che spesso sfociano nell’offesa dei costumi di una nazione e nell’ingiuria del suo popolo. Questo é il vero ed unico problema. Non il razzismo, non l’intolleranza, ma solo la pretesa che la nostra terra venga rispettata come noi la rispettiamo e come i nostri antenati hanno rispettato le terre sulle quali hanno approdato, essi stessi, da migranti.

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