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venerdì, Novembre 22, 2024

I minatori eroi e l’accordo uomo-carbone

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

Sono figlio di un minatore ed anch’io, in questo periodo e non solo, ricordo il disastro di  Marcinelle. Bois du Cazier è il nome che identifica la miniera di Marcinelle, quella che l’8 agosto 1956 “inghiottì” 262 minatori, di cui 136 italiani (molti Salentini)Pochissimi i superstiti.

Farsi raccontare l’accaduto è facile, il difficile è trovarli. La gran parte di questi “UOMINI” è venuta a mancare. Chi è ancora vivo è malato di “silicosi”, la malattia del minatore, come dicono loro, che rende difficoltoso ogni singolo respiro.

Mio Padre raccontava spesso di quando, nella Casa Comunale, la Federazione Carbonifera Belga affisse dei manifesti rosa con la seguente scritta: OPERAI ITALIANI – Condizioni particolarmente vantaggiose vi sono offerte per il lavoro sotterraneo nelle miniere belghe: biglietti ferroviari gratuiti per andare a casa (in Italia) durante le ferie e 11,5 kg di carbone al giorno.

In fondo alla pagina poi la seguente seducente asserzione: “Approfittate degli speciali vantaggi che il Belgio accorda ai suoi minatori. Il viaggio dall’Italia al Belgio è completamente gratuito per i lavoratori italiani firmatari di un contratto annuale di lavoro per le miniere. Il viaggio dall’Italia al Belgio dura in ferrovia solo 18 ore. Compiute le semplici formalità d’uso, la vostra famiglia potrà raggiungervi in Belgio”.                     

C’era un gran bisogno di soldi nel dopoguerra e chi aveva a carico bocche da sfamare lesse quel manifesto con lo stesso stupore di un bambino che legge quello che gli preannuncia l’arrivo del Circo. Era l’unica opportunità di lavoro, la salvezza delle famiglie del sud Italia, luogo dove le fabbriche non c’erano e la campagna non ripagava i sacrifici dei tanti braccianti. Ci pensò lo Stato, il Governo altruista condotto da Alcide De Gasperi. L’accordo fu definito “Uomo-Carbone” e prevedeva il trasferimento di 50.000 italiani nelle miniere belghe. Di fatto si trattò di un baratto: i nostri uomini in cambio di carbone, di combustibile. Ciò consentì ai belgi di abbandonare le miniere per lavorare altrove e lasciare quel lavoro mal retribuito, nocivo e pericoloso, agli italiani che ne avevano bisogno, ma ignari di quanto li attendeva.

Questi sono gli ex minatori italiani in Belgio, gli ultimi custodi di una memoria fatta di miseria, emigrazione, discriminazioni sociali, sacrifici.

Le famiglie italiane, quando arrivarono, finirono nelle baracche, costruzioni di lamiera, messe su durante il secondo conflitto mondiale per i prigionieri, calde d’estate e fredde d’inverno, in  condizioni igieniche pessime, molto umide, spesso anche infestate da animali e parassiti, con pochi bagni esterni, per di più situati lontano dalle abitazioni, senza acqua corrente all’interno, che si poteva prelevare dalle fontane che si trovavano negli spazi comuni, dove c’erano i servizi igienici. Gli ex minatori le descrivono come invivibili. Infatti, non tutti ebbero la forza di restare. Tanti tornarono a casa. 

Mio Padre, quando raccontava della miniera, spiegava ogni dettaglio del duro lavoro all’interno dei pozzi profondi circa 1000 metri e dentro gallerie di carbone che potevano essere alte anche meno di 50 centimetri (queste ultime venivano definite “taglie”). Si lavorava con temperature impossibili che raggiungevano i 55 gradi centigradi. Raccontava tutto con dovizia di particolari e termini tecnici e assicurandosi che io lo ascoltassi e capissi davvero quanto mi riferiva. Era così preciso che mi sembrava di essere lì, accanto a lui. Ma evitiamo la traversata emotiva.                                 

Tornando a Marcinelle, i soccorsi furono da subito molto lenti e difficili: all’inizio alcuni operai che si trovavano in superficie provarono a scendere per perlustrare e dare una mano, ma non riuscirono a far niente per via del fumo. Quando arrivarono i veri soccorritori, equipaggiati con i respiratori, erano più o meno le nove di mattina. Anche con i respiratori non si riuscì a scendere in profondità, dove l’incendio intanto si stava allargando. Nel pomeriggio, dopo che i soccorritori avevano tentato in ogni modo di scendere in quell’inferno (tra i vari tentativi venne tentata anche una modifica strutturale agli ascensori in modo da poter utilizzare quello rimasto in superficie), i sopravvissuti riuscirono ad uscire dalla miniera.

Nei giorni successivi vennero organizzate manovre più imponenti per tornare sottoterra alle quali parteciparono molti volontari. Qualcuno pensò di poter trovare dei sopravvissuti in un rifugio che si trovava ad un chilometro di profondità, ma quando i soccorritori ci arrivarono, trovarono solo morti. Le ricerche andarono avanti senza successo fino al 22 agosto, quando fu dichiarato che tutte le persone rimaste nella miniera erano morte. Gli ultimi cadaveri, quasi irriconoscibili, furono portati fuori dalla miniera soltanto nel marzo del 1957. Morirono in tutto 262 persone; i 136 operai italiani provenivano da 13 diverse regioni.                                                                 

Le varie inchieste sull’incidente non stabilirono alcuna responsabilità e nel 1959 i dirigenti della miniera vennero assolti dalle accuse di inadempienza. Nel 1961 fu poi condannato in appello a sei mesi (con la condizionale) un ingegnere che dirigeva i lavori della miniera (il capro espiatorio).  Nel 1957, intanto, ripresero le attività nella miniera di Bois du Cazier, che fu definitivamente chiusa nel 1967.  La CECA convocò una conferenza le cui conclusioni migliorarono radicalmente le condizioni di lavoro in tutte le miniere dell’Europa comunitaria e la sicurezza dei minatori.                                                                                                                                                 

Allo Ius soli nessun accenno. Per il Belgio i nostri antenati erano solo “OPERAI ITALIANI”, una merce qualsiasi, niente di importante. Ma dopo la tragedia sparirono i cartelli nei bar che vietavano l’ingresso agli italiani (i quali venivano regolarmente confinati nelle Cantines) ed i recinti di lamiera intorno alle baracche dei minatori, come il filo spinato intorno ai campi di concentramento.

Nonostante tutto, gli ex minatori italiani ringraziavano il Belgio per l’opportunità di lavoro.

Altri tempi, altra gente, altri UOMINI!

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