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giovedì, Novembre 7, 2024

Mussolini era di destra o di sinistra?

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

C’è ancora chi è convinto che Mussolini fosse di destra, ma se si approfondiscono le scelte da egli compiute nelle varie fasi della sua vita politica, non si possono negare le molteplici affinità con il Socialismo, in particolare allorquando il duce sosteneva che l’Italia doveva essere un Paese collettivista in cui lo Stato era il vero protagonista della vita civile ed economica. La sua visione statalista, anche nell’economia, non è mai stato un mistero.

D’altronde poco prima della prima guerra mondiale Mussolini, che era stato al comando del Partito Socialista, riuscì a prevedere con largo anticipo la crisi del Biennio Rosso (1919-1920) ragione per la quale costituì, già nel gennaio 1919, i fasci di combattimento, convinto com’era che i partiti storici, come quello socialista, non sarebbero riusciti a risolverla senza l’aiuto della Russia, rischiando, quindi, di subire il dominio del comunismo sovietico.  

Il movimento fascista si presentò, in sostanza, come una sorta di garanzia contro i tentativi esteri di far divenire l’Italia una realtà socialista. Così, mentre gli operai scioperavano, gli industriali correvano ai ripari chiedendo l’intervento di Mussolini, il quale comprese subito che la soluzione migliore, per evitare lo scenario che si andava delineando, era proprio quella di continuare a parlare di socialismo, ma in una nuova veste: quella della nazione e non più del proletariato. Il passaggio di Mussolini dal socialismo tradizionale al socialismo nazionale fu dovuto, con buone probabilità, al ripensamento radicale del marxismo quando il duce scoprì Nietzsche, ma non si può, per ciò, negare che il suo Fascismo aveva una forte congruenza con il Socialismo: l’idea di fondo, comune ad entrambe le ideologie, era quella di sovvertire il potere della borghesia liberale a favore di uno Stato autoritario e accentratore anche in economia.

L’anomalia italiana creata dal Duce fu di una tale evidenza che non a caso gli storici hanno parlato di una terza via corporativa (o fascista) che si è insinuata, trovando la sua migliore collocazione, fra capitalismo e comunismo, senza essere né l’una, né l’altra, e fino a sostenere, dopo circa un decennio dall’ascesa al potere, che lo Stato doveva abbracciare tutto e nulla doveva esistere al di fuori di esso. Un concetto dichiaratamente socialista, per nulla conservatore o popolare, ma progressista, collettivista e, al tempo stesso, intollerante e violento proprio come fu il Socialismo di Lenin, dal quale differiva per il solo fatto di non possedere direttamente le imprese, al contrario, dando loro l’illusione di essere indipendenti ed autonome, attraverso la concessione di qualche sussidio mentre, in perfetta aderenza all’ideologia socialista, per affrontare la crisi del 1929 che dagli Stati Uniti faceva il giro del mondo, ripensava l’IRI, massima espressione del corporativismo e dell’intervento dello Stato nell’economia, per mezzo del quale il regime poteva controllare i gruppi industriali pseudo-indipendenti e disposti a pagare tangenti al governo quando, una volta reso l’Istituto permanente, venne utilizzato quale veicolo di applicazione della politica di regime all’economia. E non si può fare a meno di evidenziare come la colpa non sia da attribuire tutta a Mussolini se si pensa che l’IRI è vissuta fino al terzo millennio. Una struttura siffatta, infatti, non avrebbe mai potuto affermarsi se in Italia ci fosse stata una maggiore predilezione, da parte degli agenti politici ed economici, per la libera iniziativa economica e per il libero mercato.

In altri termini, non si può negare che la cultura centralista in campo economico, nelle mani dello Stato fascista sul modello socialista, affonda le sue radici nella quasi totale assenza della cultura liberale del popolo italiano e nel vile sostegno di buona parte dei conservatori della classe media a chiunque promettesse aiuti alle imprese e protezione nei confronti dei concorrenti esteri, quel cosiddetto terzo stato che, terrorizzato dall’ombra del Comunismo sovietico, si affidò al socialismo nazionale o fascismo socialista, per molti versi rivelatosi non molto distante dal socialismo tradizionale.

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