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sabato, Luglio 27, 2024

Economia e Coronavirus: guerra fredda o ad armi impari?

Da Leggere

Flavia Carlino
Flavia Carlino
Studentessa di Economia & Management presso l'Università Bocconi di Milano

Sovente, in questi mesi, si è utilizzata, neanche troppo causticamente, l’espressione “siamo in periodo di guerra”. Se ciò su un fronte può dirsi vero, dall’altro è persino possibile definire, dal punto di vista economico, l’attuale periodo che si sta vivendo come peggiore dei due conflitti mondiali raccontati dai nostri antenati.

Studi della Federal Reserve, difatti, analizzando i cicli economici delle tre epidemie ufficialmente riconosciute dall’Oms (la Peste nera del ‘300, il colera dell’ ‘800 e la spagnola del ‘900), esplicano efficacemente come, in realtà, dagli effetti devastanti delle guerre ci si risollevi molto più celermente: i tassi d’interesse post-pandemia possono restare bassi fino a 40 anni dopo, a segnalare la scarsa voglia di investimenti (anche se, in un certo senso, in un sistema come quella odierno, meno torpida e inerte di quello del passato, questa tipologia di tasso d’interesse può tornar buona, in quanto rende meno costosi i massicci interventi fiscali necessari a stimolare la ripresa) , così come, a seguito di un eventuale prolungamento della quarantena, il crollo del Pil dei paesi europei coprirebbe un range del 3-5%.

Per l’Italia, dotata di un ciclo produttivo assai più asfittico, le conseguenze risultano essere ancora più drastiche: la Deutsche Bank prevede che, sino alla prima metà del 2021, nel Bel Paese si camminerà ad un passo del 3-4% inferiore a quello pre-pandemia.  

La congiuntura tra problematiche socio-sanitarie ed economiche non fa altro che aggravare, da ultimo, il vano ottimismo di un’eventuale ripresa: la domanda è crollata, le difficoltà finanziarie ineriscono non solo i mercati ma anche l’approvvigionamento di materie prime e la situazione di recessione prospettata da Gita Gopinath, direttore del dipartimento di ricerca del FMI, è assai peggiore di quella generata dalla crisi immobiliare del 2008.

La domanda che ci si pone ora, dunque, è la seguente: quale sarà l’entità e la durata di questa nuova crisi, considerata “la peggior ricaduta dalla Grande Depressione”? Una volta appiattita la curva pandemica, la aziende torneranno a produrre utili? La risposta a un quesito di tal genere dipende dalle politiche implementate per arginare il contagio, dalle statistiche riguardanti quest’ultimo e dal rapporto triangolare tra istituzioni, consumatori e imprese. Al riguardo, le parole di Angel Gurria, segretario generale dell’ “Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo” (Oecd) sembrano essere particolarmente emblematiche: “Sarò chiaro: le economie avanzate soffriranno. Se faranno tutto bene, la sofferenza durerà anni. In caso contrario, non si riprenderanno affatto”. E poi: “Non sono d’accordo con l’idea di una ripresa a ‘V’. Sarà più, nel migliore dei casi, come una ‘U’ con una lunga trincea nella parte inferiore prima che si arrivi al periodo di recupero. Dipende da noi, oggi, prendere le decisioni giuste per evitare che diventi una L”.

La mossa fondamentale, a detta della maggioranza degli economisti, risulta quella di attuare il principio di sussidiarietà, mantenendo sopra la soglia minima i redditi delle famiglie attraverso l’operato dell’Inps e, al contempo, garantendo alle imprese liquidità, utile a ripagare i fornitori e a ridurre i licenziamenti. Chissà se, come dice Oliver Blanchard (sì, l’autore del celebre manuale di Macroeconomia) si riuscirà a comprendere che il debito pubblico non è la preoccupazione imminente, ritornando a quel modus operandi keynesiano che portò l’America nella scialuppa di salvataggio. Ai posteri l’ardua sentenza.

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