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martedì, Ottobre 15, 2024

MA QUESTO FIGLIO DI CHI È FIGLIO

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

Quand’ero giovane mio padre mi diceva sempre che i figli non sono nostri ed io pensavo sempre a cosa volesse dire quell’uomo con tanta esperienza sulle sue forti spalle. Qualche anno più tardi, da genitore, ho compreso il senso di quella frase, di quelle parole pensate e pesate tutta la vita, da un padre che si era sempre occupato e preoccupato dei propri figli, conducendoli, per mano, alla meta che ogni genitore spera di condividere con loro.

Oggi questa asserzione non gode più della stessa chiarezza e può essere fraintesa. Perché ciò non accada si dovrebbe porre la domanda in questi termini: ma un figlio di chi è figlio? Naturalmente, verrebbe da dire, del padre e della madre che lo hanno concepito, visto che come nascono i bambini lo sanno tutti. Tuttavia, nei tempi in cui viviamo non è proprio così. L’uomo continua a “dare” il proprio seme e la donna il suo ovulo, ma dopo, pare, non vi sia più traccia della genesi. L’unico evento dotato di incontestabile realtà è che per far nascere un bambino sono necessari uno spermatozoo ed un ovulo. Dopo il concepimento nulla è più sicuro. Il figlio generato, che una volta rimaneva per tutta la vita con la madre biologica che lo partoriva, non si sa più che fine farà. Chi si prenderà cura di lei/lui? Due cisgender (una madre ed un padre), due omosessuali (due padri o due madri), due transgender o soltanto uno di essi? Il figlio non lo sa ancora, è ignaro del suo destino che scoprirà quando, terminato “l’iter” della sua generazione, avrà inizio, ahimè, quello dell’adozione.  

Eppure la domanda “ma un figlio di chi è figlio” dovrebbe far riflettere se si pensa al profondo significato delle parole “paternità/maternità” e al grande panorama intellettuale che scaturisce dall’intimo ed intenso concetto del “generare”, non riducibile solo al momento dell’unione cromosomica. Dopo questa prima fase c’è la vita la quale, nella sua astrazione, inevitabilmente richiama il legame di sangue, che nasce biologicamente e si sviluppa naturalmente nella famiglia di origine. Certo, nella vita concreta non sempre questo si realizza secondo natura. I figli possono diventare orfani, o essere allontanati dai genitori naturali per conflitti familiari o per questioni giudiziali, di cui queste dolcissime creature scontano ogni possibile dolore; in altri casi, fortunatamente più rari e più gravi, vengono abbandonati ed è la legge a cercare altri genitori (quelli adottivi). Ma a loro nessuno pensa. La legge segue il proprio corso dal momento che i partiti politici si fanno portavoce di questa o quella comunità, disposta a barattare il voto con la realizzazione delle proprie istanze, nel nome del progresso o semplicemente per egoistiche aspirazioni (o capricci)?  

Nel bel mezzo di questo disordine si discute, quindi, di consentire a chicchessia di fare il genitore, mentre lui o lei restano figli, senza ancora sapere di chi. Per la legge i figli son tutti uguali, anche se, a pensarci bene, ciò non è vero. Ci si soffermi per un attimo a pensare alla naturale ed univoca relazione tra figli e genitori. Siamo convinti che per la legge sia la stessa cosa? Ad esempio, in natura, madre del figlio è colei che partorisce, ma partorisce in segreto e non vuole il figlio, per la legge non diventerà mai madre. Così è per il padre. Di solito è padre l’uomo che lo concepisce insieme alla madre biologica. Tuttavia per la legge è tale chi lo riconosce. Ed io vi chiedo se avete idea di quanti siano i riconoscimenti non veritieri, che hanno come conseguenza la totale dissociazione dello status giuridico di padre dalla semplice verità naturale. Scientificamente esiste un’ipotesi in cui la coincidenza fra genitorialità legale e naturale non sarà mai possibile: quella della coppia omosessuale.

Ci sono Paesi che ammettono, per le coppie maschili, la maternità surrogata, più volgarmente definita “utero in affitto”, perché di questo si tratta. In Italia non ci siamo ancora, dato che tale pratica è stata definita dalla Corte costituzionale, in una recente sentenza, una “intollerabile offesa alla dignità della donna e spesso occasione di abusi e di sfruttamento”, dignità alla quale la donna non può rinunciare. Ciò fa comprendere i motivi per cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno categoricamente escluso la trascrizione nei registri di stato civile italiani di un atto di nascita formato all’estero per un bambino nato da maternità surrogata e consegnato ad una coppia di committenti (maschi) omosessuali come figlio di entrambi. E mentre l’esclusione della doppia paternità ha il sigillo della Corte suprema, quello della doppia maternità naviga tra incertezze e contrastanti decisioni dei giudici.

Ma se la meta è quella del riconoscimento del diritto di una coppia gay o lesbica ad “ottenere” dei figli, il prezzo da essi pagato sarà il sacrificio del diritto di avere un padre e una madre. E se il diritto del figlio ad avere un padre e una madre è già stato sacrificato e si ritrova una madre biologica e la sua partner o un padre biologico ed il suo partner, che hanno pagato la sua mamma biologica per poi allontanarlo da lei, al bambino/bambina non resta che soccombere nel nome di una volontà legislativa che nulla ha a che vedere con le leggi della natura.

Se si vuole approfondire le conseguenze di tali scelte basti pensare a quanto accaduto in questi giorni nei Paesi Bassi, dove Jonathan Meijer ha donato il proprio seme facendo nascere 550 bambini/bambine i quali, una volta cresciuti, potrebbero incontrarsi e sposarsi, nonostante la consanguineità, per poi avere dei figli che potrebbero essere affetti da patologie note alla genetica.

Ciò che si realizzerebbe, viene da noi definito “incesto” e punito dal codice penale. Ma questa è ben altra cosa.  

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