Firmati i Patti Lateranensi: «La Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con l’addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti». Con questa premessa si aprono i Patti dei Lateranensi che, dopo sessant’anni di gelo tra le due sponde del Tevere, diedero una soluzione alla cosiddetta questione romana, aprendone un’altra altrettanto annosa.
Conclusa l’impresa unitaria, nella primavera del 1861 Cavour aprì ufficialmente la “questione romana”, proclamando Roma capitale del Regno, quando la stessa si trovava ancora sotto la giurisdizione papale. Dieci anni dopo, riconquistata la città, il governo Lanza trovò la soluzione nella Legge delle Guarentigie (maggio 1871).
Con essa il Pontefice, all’epoca Pio IX, diventava suddito dello Stato Italiano, conservando tuttavia una serie di privilegi rispetto agli altri cittadini. Il Papa non accettò la soluzione unilaterale e in segno di protesta sia lui che i suoi successori non varcarono mai la soglia delle mura vaticane.
I rapporti vennero ristabiliti quasi sessant’anni dopo, in piena epoca fascista. Dopo i vani tentativi di conciliazione nel corso dei pontificati di Leone XIII e Pio X, i primi segnali distensivi si ebbero con Benedetto XV che alimentò la partecipazione dei cattolici alla vita politica italiana, sostenendo nel 1919 la formazione del Partito Popolare Italiano (dalle cui ceneri nacque nel ’42 la DC). Sul versante opposto Giolitti apriva a una nuova stagione di rapporti, attraverso la politica delle «due parallele» e rimarcando l’autonomia di Stato e Chiesa nei rispettivi ambiti.
L’avvento della dittatura fascista mise in allarme la Santa Sede preoccupata di perdere la propria secolare autonomia. Di qui, nell’estate del 1926, si avviarono delle trattative condotte per l’Italia dal consigliere di Stato Domenico Barone e per la Chiesa dall’avvocato Francesco Pacelli. Nelle ultime fasi, agli stessi subentrarono rispettivamente il capo del governo Benito Mussolini e il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Gasparri.
A questi ultimi spettò di formare l’accordo dell’11 febbraio, nella Sala dei Papi del palazzo di San Giovanni in Laterano. Il trattato (ratificato con la legge 810 del 27 maggio 1929) riconosceva innanzitutto la personalità giuridica internazionale dello Stato della Città del Vaticano, mentre quest’ultimo riconosceva il Regno d’Italia e Roma quale sua capitale.
Tra i punti salienti, venivano regolati gli effetti civili del matrimonio religioso e stanziati circa un miliardo di lire, a titolo di risarcimento per i danni subiti con la perdita del potere temporale del Papa. I punti più controversi, che rispetto alle Guarentigie segnavano un regresso nella tutela della libertà religiosa, riguardavano l’indicazione del cattolicesimo quale religione di Stato e l’obbligatorietà dell’insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole medie ed elementari.
Pur tra il dissenso delle correnti laiche dell’Assemblea Costituente, i Patti vennero assorbiti all’interno della Costituzione del 1948, nello specifico con l’articolo 7. Tuttavia fu avvertita a più riprese l’esigenza di modificare l’accordo, nei punti ritenuti palesemente incompatibili con i principi della Costituzione repubblicana.
Istanze raccolte più tardi nel nuovo Concordato del 1984, sottoscritto dal presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal segretario di Stato Agostino Casaroli. Con esso da un lato si eliminavano i punti più controversi (il riconoscimento di “religione di stato” e l’insegnamento obbligatorio cambiato in facoltativo); dall’altro si facevano importanti concessioni alla Chiesa, tra cui il finanziamento attraverso il meccanismo dell’otto per mille e il diritto a istituire scuole di ogni ordine e grado.
Maggiori dettagli sull’Accordo di Villa Madama
L’Accordo di Villa Madama è strutturato in tre parti:
- il Preambolo: dà conto delle trasformazioni intervenute nella società italiana, a partire dall’entrata in vigore della Costituzione, e dei principi affermati dal Concilio Vaticano II in merito ai rapporti tra Stato e Chiesa;
- l’Accordo: suddiviso in 14 articoli, esprime i principi ispiratori dei nuovi rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica, alla luce della Costituzione repubblicana;
- il Protocollo Addizionale: composto da 7 punti, contiene una serie di chiarimenti interpretativi per rendere più agevole l’applicazione dei Patti, incluse le modifiche apportate nel 1984.
Punti salienti del Nuovo Concordato sono:
- l’abrogazione del principio secondo cui il cattolicesimo è religione di Stato: si afferma infatti la neutralità religiosa dello Stato italiano, cui corrisponde una maggiore autonomia organizzativa della Chiesa cattolica;
- il riconoscimento di personalità giuridica agli enti ecclesiastici con fini di religione e culto;
- l’affermazione del principio di parità tra laici e chierici, cui consegue l’abolizione di parte delle esenzioni e privilegi precedentemente riconosciuti agli enti ecclesiastici e l’introduzione del sistema dell’8×1000, in luogo del supplemento di congrua;
- il superamento della riserva di giurisdizione ai Tribunali ecclesiastici delle cause di nullità del matrimonio;
- il riconoscimento degli effetti civili al matrimonio canonico, che per la Chiesa resta un vincolo indissolubile fino alla morte di uno dei coniugi, mentre per lo Stato può venir meno in caso di divorzio (introdotto in Italia con la legge n. 898/1970);
- la previsione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (non universitarie) di ogni ordine e grado, ma non più in termini obbligatori, garantendo a ciascuno, nel rispetto della libertà di coscienza, il diritto di non avvalersene.