A che serve vedere il Festival di Sanremo se con le anticipazioni e i programmi che gli sono stati dedicati si sa già tutto. Ci manca solo di conoscere il nome del vincitore, che con un po’ di fantasia, forse, si potrebbe anche intuire. Certo, la manifestazione canora più importante d’Italia va adeguatamente pubblicizzata, non v’è dubbio. Ma così si rischia di ottenere l’effetto contrario a quello voluto, ossia l’intolleranza verso il festival e chi lo presenta.
Lo share è comunque assicurato, anche se personalmente penso che chiunque presenti la kermesse godrà di almeno 10 mln di telespettatori, com’è successo negli ultimi 15 anni, che più o meno significa un telespettatore su due, ma se davanti alla tv ce ne fosse un terzo, certamente non vedrebbe il Festival della canzone italiana. Tra quelli che lo vedono, esclusi gli appassionati, la maggior parte lo vede perché altrimenti non saprebbe cosa dire agli amici quando gli chiederanno cosa ne pensa. Non ci si può mica autoescludere dalla “festa nazionale canora”.
Tre o quattro mesi prima del suo inizio, tg, quotidiani, settimanali, tutti parlano e scrivono di Sanremo. La manifestazione è citata quasi più della guerra in Ucraina e degli ultimi femminicidi, perché “Sanremo è Sanremo”, diceva l’iconica sigla cantata da Rudy Neri dei Prefisso. Un tal fenomeno popolare non può essere ignorato.
Ma alla fine, più che “l’emozione”, a quanto pare, ha fatto da padrona “la delusione”: delusione per Geolier, fischiato dal pubblico, per John Travolta, che ha ballato il “ballo del qua qua” e per ogni cosa sia accaduta su quel palco. Tutti delusi, ma tutti davanti alla tv. La coerenza è di casa tra chi guarda la televisione.
Per non parlare del presentatore che pare l’unico in grado di presentare la manifestazione canora. Si autocompiace per uno share che la dice lunga, dal momento che l’indice d’ascolto è ben altra cosa dell’indice di gradimento. E seppur vogliamo dar credito al primo, basti leggerne i dati: in prima serata guardavano il Festival circa 10 mln di telespettatori con uno share del 52%. In seconda serata lo share aumenta al 65%, mentre i telespettatori scendono a 8 mln. Cosa è successo? 2 mln di persone se ne sono andati a letto sfiniti e stufi di cotanto trash. Ecco perché lo share è una cosa stupida. E se non pensiamo a questa inutile percentuale, il numero di telespettatori è sempre lo stesso da trent’anni.
Di certo, delegare al Festival di Sanremo la nostra identità ha qualcosa di insano, che ci fa apparire diversi da quelli che siamo, trasformandoci da “popolo brillante” a “popolo spento”, evocando sul suo palcoscenico stereotipi di ogni genere e messaggi politicamente corretti che si inoculano ai cittadini approfittando dell’occasione: immigrazione, ecologia, femminicidio, non violenza, clima, tutto si ripete in ogni edizione. Cambiano solo gli sponsor del Festival.
Agli italiani non è rimasto più nulla: dal crocifisso nelle scuole, al patriottismo, dalle tradizioni nazionali, alla religione. Solo il Festival di Sanremo. Si, è rimasto solo quello. Ma la consolazione è davvero magra.