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Legge sulla autonomia differenziata. Esiste da un ventennio ma nessuno se la ricordava

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

Il disegno di legge di iniziativa del Governo sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario propone una legge “puramente procedurale” che attua, a distanza di oltre un ventennio, la riforma del Titolo V della Costituzione approvata con la Legge Costituzionale n. 3/2001.

Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, ma per farlo bisogna ricordare che la Costituzione divide le competenze dello Stato e delle Regioni in tre gruppi. In particolare, materie

  • di competenza esclusiva dello Stato, come giustizia, difesa, immigrazione, sicurezza e politica estera;
  • di cui lo Stato decide i principi generali mentre alle Regioni è demandata la competenza territoriale, ossia il compito di dare direttive sul funzionamento specifico nel loro territorio, come beni culturali scuola, sanità, ambiente, ecc.;
  • di competenza esclusiva delle Regioni.

La riforma del titolo V avvenuta con la Legge Costituzionale n. 3 del 2001 ha stabilito che con riguardo alle materie in cui è prevista la competenza territoriale, le Regioni possano richiedere l’autonomia, ovverosia, la possibilità di decidere diversamente dallo Stato, sia pure rispettandone le linee generali.

Il ddl definisce, invece, le procedure, legislative e amministrative, per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, in particolare, definisce le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata nelle 23 materie indicate nello stesso provvedimento.

L’autonomia riguarda soprattutto i Livelli Essenziali di Prestazioni (Lep) che determinano il livello minimo di servizio su tutto il territorio nazionale. Una volta definiti i Lep, nei limiti delle risorse disponibili, avverrà il trasferimento delle funzioni.

Sarà un processo lungo, coordinato da una cabina di regia che effettuerà una vera e propria ricognizione normativa per individuare le materie riguardanti i Lep. Il governo, poi, avrà 24 mesi per emettere decreti legislativi sui Lep, mentre Stato e Regioni avranno 5 mesi per raggiungere accordi, con intese di durata massima di 10 anni. Ad approvazione avvenuta si verificherà una decentralizzazione delle competenze che coinvolgerà tutte le Regioni e stabilirà un processo graduale legato alla definizione dei Lep, allo scopo di garantirne l’uniformità a livello nazionale.

Si tratta di una vera e propria decentralizzazione delle competenze che coinvolge attivamente le Regioni e stabilisce un processo graduale, legato alla “necessaria” definizione dei Lep, al fine di garantire uniformità dei servizi su tutto il territorio nazionale.

Quindi, riepilogando, i punti nodali della questione sono i seguenti:

– richieste di autonomia, che partono su iniziativa delle stesse Regioni, sentiti gli Enti locali;

– 23 materie, tra cui la tutela della salute, l’istruzione, lo sport, l’ambiente, l’energia, i trasporti, la cultura e il commercio estero. In totale sono 14 le materie definite dai Livelli Essenziali di Prestazione;

– concessione di una o più “forme di autonomia”, subordinata alla determinazione dei Lep, ovvero ai criteri che determinano il livello essenziale di servizio che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep, avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio;

– principi di trasferimento, si stabiliscono i princìpi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni, precisando che potrà avvenire solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio. Dunque senza Lep, estesi anche alle Regioni che non chiederanno la devoluzione, e relativa copertura, non ci sarà autonomia;

– cabina di regia, composta dai ministeri competenti, che dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie, e ad individuare materie o ambiti di materie riferibili ai Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale;

– tempi, il Governo entro 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep, mentre Sato e Regioni, una volta avviata, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo. Le intese potranno durare fino a 10 anni ed essere rinnovate o terminare prima con un preavviso di almeno 12 mesi;

– clausola di salvaguardia, l’ultimo articolo, inserito in commissione, oltre a estendere la legge anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, reca la clausola di salvaguardia per l’esercizio del potere sostitutivo del Governo. Con tale clausola il Governo potrà sostituirsi alle regioni, alle città metropolitane, alle province ed ai comuni se questi saranno inadempienti, rispetto a trattati internazionali e alla normativa comunitaria oppure quando vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l’unità giuridica o quella economica.

Con l’autonomia differenziata la gestione delle risorse avviene a livello locale e ciò potrebbe ridurre notevolmente gli sprechi. Oltretutto, in tal modo, sarà più facile per gli elettori controllare l’operato dei politici.

Tuttavia, l’attuale gestione regionale della sanità, ad esempio, come tutti sappiamo, ha creato forti disuguaglianze tra Nord e Sud e si pensa che la riforma in atto potrebbe aumentare tale divario, dato che le risorse delle Regioni più ricche non verrebbero redistribuite, passando per Roma, così inasprendo le diseguaglianze sociali già esistenti tra il Nord ed il Sud del Paese.

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