Il Giornale del Salento

“Marzu pacciu e ventarulu”, tra proverbi e pregiudizi

Improvvisi mutamenti meteorologici caratterizzano il mese durante il quale giornate col tempo bellissimo lasciano il posto a fenomeni temporaleschi, sia pure di breve durata, che fanno dire: a marzu e’ mugghiu ttieni do’ umbrelle: pe’ li giurni tristi e pe lli giurni bueni, a marzo è bene tenere due ombrelli: per i giorni di cattivo tempo (per ripararsi dalla pioggia) e per i giorni di bel tempo, utili per ripararsi dai raggi cocenti del sole. È possibile che avvengano nevicate, grandinate e gelate, assolutamente dannose alle gemme già presenti sui rami, poiché marzo‘mprena l’àrveri, marzo feconda gli alberi, e anche marzu pacciu e ventarulu, mprena l’àrvulu e caccia lu fiuru, marzo pazzo e ventoso, feconda l’albero e fa spuntare il fiore; marzu: o tau o tegnu, capu te state e cuta te iernu, marzo: o do o tengo (riferito al tempo incerto), inizio d’estate e coda d’inverno. Ed è pure possibile che i temporali, rispetto ad altri periodi dell’anno, si manifestino con violenza ed esplodano con maggiore fragore i tuoni, ricordato dal detto: quisti troni ca marzu scattariscia, ca fàciane tte rrunchi pe paura, questi tuoni che marzo fa scoppiare e che ti fanno rannicchiare per la paura. Vi è un modo di dire che allude al carattere temerario di chi si parla: nu time mancu le trònate te marzu!, non teme neppure i tuoni di marzo! Si dice ancora, forse da una donna non contenta del matrimonio: tronu te marzu nni pozza scattare a ci foi ca me scucchiau, tuono di marzo possa cadere a chi mi scelse.

Per via dell’instabilità del tempo, al mese di marzo è affibbiato l’epiteto di pazzo; del resto esso è dedicato al bellicoso Marte. A questo carattere rimandano i proverbi: marzu pacciarieddhru no lassare lu cappottu e mancu l’umbrella, marzo pazzarello non lasciare il cappotto e nemmeno l’ombrello; marzu pacciarieddhru iti lu sule e cacci l’umbrella, marzo pazzerello vedi il sole e prendi l’ombrello. Tuttavia la temperatura comincia il suo movimento ascendente e possiamo goderci i raggi del sole che, dopo la prolungata assenza invernale, invitano a crogiolarsi…ma a nostro rischio e pericolo! Perché, sostengono i medici, è un sole “malato” e pericoloso, come ammonisce il modo di dire: e’ mègghiu la mamma cu chianga la figghia ca lu sule de marzu cu la mpigghia, è meglio che la mamma pianga la figlia anziché il sole di marzo la infuochi, o se la prenda, facendola diventare matta. E nondimeno il caldo si fa sentire. Dice un proverbio: marzu: càcciate la còppula ca fete t’arsu, marzo: togliti il berretto, che sa di arsiccio, puzza di bruciato.

      Secondo un diffuso pregiudizio, i nati in questo mese si rivelerebbero pazzi. Un tempo i pastori evitavano di nominare il mese tanto era loro funesto e, se proprio costretti, dicevano che era il mese accanto a quello di aprile. Vi era chi sosteneva che se “marzo viene e ti trova malato, è meglio che ti compri la cassa da morto” oppure equiparavano “il sole di marzo al sole di febbre”.

A marzo la luce del giorno è sensibilmente aumentata e lo ricorda questo proverbio: quandu lu pièrsecu fiurìa, tanta la notte quantu la tìa; quandu poi e’ già maturu, tanta la luce quantu lu scuru, quando il pesco fiorisce (21 marzo), tanta la notte quanto il giorno; quando è maturo (21 settembre) tanto il giorno quanto la notte.  

Ai contadini non dispiace assolutamente se, in questo mese e in quello successivo, piove: marzu chiova chiova e abbrile cu nu ss’affisce, a marzo che piova abbondantemente e ad aprile che non s’arresti. È tanto benefica la pioggia che vale più di un cocchio d’oro: vale cchiui n’acqua de marzu e doi de aprile, ca lu cocchiu d’oru cu tutte le tire, vale più una pioggia di marzo e due di aprile che il cocchio d’oro con tutti i cavalli. I contadini, invece, sostenevano che ci puta a marzu o ete fessa o ete pacciu, chi pota nel mese di marzo o è stupido o è pazzo. Non è infatti consigliabile eseguire alcuna potatura in questo mese, poiché ogni pianta ha iniziato il ciclo vegetativo e ne risentirebbe, con la conseguenza di frutti scarsi e striminziti.

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