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martedì, Ottobre 15, 2024

Tra sacro e profano: la Caremma e il fascino delle tradizioni nel Salento

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Tra le tante tradizioni che caratterizzano la terra del Salento va ricordata, senza dubbio, la Quaremma (o Caremma, che dir si voglia). L’origine ha radici geografiche lontane e non di facile ricostruzione. La Quaremma viene esposta sui terrazzi, sui davanzali e sui balconi delle case in molti paesi del Salento.

 È un pupazzo o fantoccio dal caratteristico costume popolare locale, la cui esposizione rappresenta la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima.

Con molta probabilità il suo nome è di derivazione francese e non è da escludere che abbia a che fare con la presenza nel Salento di soldati transalpini nel XIV secolo: Quaremma, dunque, deriverebbe dal termine Careme, poi tradotto in Quaresima.

Il fantoccio, dalle sembianze non proprio belle, raffigura una signora anziana, per certi versi simile alla befana: una vecchia di aspetto orribile, magra e un po’ spaventosa, vestita di nero per lutto (a causa della fine del Carnevale). Una peculiarità del fantoccio è la presenza di un filo di lana e di un fuso nella mano destra, simbolo della laboriosità e del trascorrere del tempo. Nella mano sinistra, invece, la Caremma tiene una marangia, cioè un’arancia amara, talvolta sostituita da una melograna o da una patata, al cui interno sono inserite sette penne di gallina: il numero non è casuale, ma fa riferimento alle domeniche che mancano per la PasquaAnche l’arancia amara ha un significato simbolico: il suo sapore aspro e non piacevole simboleggia la sofferenza, la penitenza e il sacrificio che caratterizzano il periodo quaresimale.  Ogni penna di gallina corrisponde a una settimana di astinenza: infatti, ogni sette giorni ne viene tolta una, fino all’arrivo della Pasqua appunto. Quando la Quaresima finisce, il filo da tessere ormai si è esaurito, le penne sono terminate e l’arancia amara è diventata secca: a questo punto la Caremma, dopo essere stata spostata dal balcone o dal davanzale, viene esposta su un palo, appesa a un filo. Nel momento in cui le campane cominciano a suonare per dare l’annuncio della Resurrezione di Gesù, il fantoccio viene bruciato tra scoppi di petardi ed esplosioni di mortaretti: è l’ora della festa, tutti sono felici perché il fuoco segna l’inizio della salvezza e della purificazione.

La tradizione salentina della Quaremma fonde insieme sacro e profano, per un culto religioso che va indietro anni nel tempo.  È un periodo di sacrificio, che si rispetta anche a tavola: il regime alimentare moderato, senza formaggi, uova e carne. Tutte privazioni che vengono meno nel corso della Settimana Santa, quando ci si dedica anche alla preparazione dei tipici dolci pasquali: uno tra i più famosi e più gustosi è la coddura (a volte chiamato cuddhura), una specie di torta di forma rotonda che contiene al proprio interno uova sode ancora nel guscio e che veniva tradizionalmente donata dalle ragazze ai propri fidanzati il giorno di Pasqua.

La Quaremma da tempo è parte integrante della cultura del Salento. Già in passato solitamente la si vedeva apparire ai crocicchi delle strade e sui pali della luce, il mercoledì delle Ceneri, a segnare la conclusione delle feste del Carnevale: l’importante era che la sua posizione fosse al centro dell’attenzione visibile a tutti in modo da ricordare l’inizio della Quaresima. Significativo a tal proposito è il suo aspetto spaventoso tanto da coniare l’espressione in molti paesi del sud Salento “pare na quaremma” per indicare una donna non particolarmente bella; il fuso e la lana da filare deriva dal mito pagano delle tre Parche, con Cloto che filava la vita degli uomini. D’altra parte, nel passato, l’immagine di una donna brutta, non curata, cupa, aveva anche lo scopo di esorcizzare la paura  delle carestie, diffuse proprio a marzo e aprile e il timore della morte.   Tuttavia, e purtroppo, la tradizione salentina della Quaremma va via via perdendosi. Resiste in alcuni paesi, come Gallipoli, che tramandano consuetudini e usanze, custodendone la memoria.

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