Il Giornale del Salento

Censura immaginaria: vittimismo o strategia?

 

Quando Saviano iniziò non si era ancora a questo punto. Roberto subì la condanna e si rifece assurgendo a vittima di Giorgia. Da allora, probabilmente per via della popolarità che si acquista parlando di fasci, fascismo e Meloni, abbiamo assistito ad una corsa sfrenata verso tale tipo di comunicazione. A quanto pare, parlare di questo rende, quanto meno in popolarità. Soprattutto se si riesce a dare l’idea di aver subito, acquisendo l’ambito status di vittima. Perciò, facciamolo.

Non se ne può trarre che beneficio. Certo, se lo fai da sconosciuto il vantaggio è limitato. Ma se sei già noto, anche poco noto, il vantaggio è massimo. Si inizia dalle interviste, le ospitate in tv, nei canali di sinistra, e si finisce col pubblicizzare le proprie creazioni, editoriali, culturali e di altro genere, fino a raggiungere il massimo della popolarità se si approda nelle trasmissioni condotte dai presunti profughi o esiliati, con contratti milionari, poverini, contro la propria volontà.

Ma vittimismo a parte, crearsi l’alibi dell’essere sgradito al potere ha sempre reso in termini di popolarità. È successo nella storia a noi nota e succede anche oggi. Questo perché, conquistare il potere politico non equivale a conquistare l’intera opinione popolare sui temi civili e culturali, che spesso restano immutati.

Perciò, chi va al potere non fa niente di scandaloso se si occupa dello spoils system, una pratica diffusa, a destra come a sinistra, a Nord come a Sud. L’avvicendamento nelle cariche e negli incarichi di rilievo si verifica da decenni e nessuno si è mai lamentato, tranne ora. Il problema viene stigmatizzato perché al potere non c’è più la sinistra; ma bisogna dirlo: meno male che ha votato tutto il popolo e non solo alcuni intellettuali o artisti.

Quindi, se si rischia di essere sostituiti, tanto vale farlo in maniera eclatante, così da ricavarne il massimo vantaggio, soprattutto se si vive di cultura, arte o giornalismo. Sostituire il conduttore di un programma moltiplica esponenzialmente l’effetto mediatico dei programmi che egli andrà a condurre. Si pensi agli ascolti di Fazio su 9, la rete che prima di lui nessuno, o quasi, conosceva. Per uno scrittore, dichiararsi vittima di censura equivale a vincere un premio ambito. Insomma, il vittimismo rende. Perciò, si rende pubblica una situazione immaginaria per trarne il massimo vantaggio. Chissà se lo farebbero in uno Stato totalitario, dove rischierebbero la vita, come succedeva in passato.

Allora, se da una visionaria censura ricavano così tanta popolarità, queste persone vanno considerate vittime o carnefici? A mio modesto avviso si tratta, più semplicemente, di fredde manovre di collocamento di speculazioni ideologiche che si rivelano alquanto redditizie.

Le vere vittime sono quelle che hanno avuto da perdere per aver espresso le proprie opinioni. Tutti coloro che, nel periodo del potere sinistroide, sono stati esclusi da tutto: giornali, televisioni, ecc. Così, mentre le vere vittime sono state escluse dai media, le attuali pseudo-vittime tentano un riconoscimento di matteottiana memoria pur senza alcun rischio di regime.

Sembra un paradosso, ma è così. Per la sinistra, le immaginarie censure al giornalismo, di matrice politica, un tempo comprese nell’ovvia cultura dello spoils system, producono un effetto contrario, somigliando più a spot pubblicitari che ad una vera e propria sostituzione. Con buona pace per il reddito professionale.

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