dell’inviato Piercarlo Presutti
Garantisce che lo sport migliorerà il mondo e prima o poi un atleta vincerà il Premio Nobel per la pace, riscrive De Coubertin in senso etico (“l’importante non è vincere, ma vincere con uno scopo”) e dichiara il suo tifo “ovvio, per la squadra dei rifugiati”: in una intervista all’ANSA, Mohammad Yunus parla a lungo dei Giochi olimpici di Parigi e del loro senso per l’umanità.
Il premio Nobel per la Pace del 2006, testimonial dei Giochi di Parigi e partner con la sua fondazione di Milano-Cortina 2026, tiene ad aprire il colloquio con un riferimento al suo Paese, il Bangladesh.
Cosa pensa di questa situazione?
“Ho attraversato il coprifuoco per volare a Parigi, mentre era ancora in vigore la politica dello “sparare per uccidere”. Le persone sono state uccise, sta ancora accadendo, non sappiamo quanti siano i morti e quanti i feriti che moriranno. Faccio appello al mondo intero affinché ci aiuti a trovare un modo per fermare le uccisioni in corso. Deve essere fermato.
Ha un forte legame con lo sport. È dovuto al fatto che rappresenta uno stile di vita più giusto e sostenibile o perché c’è ancora del lavoro da fare in questo settore?
“Mi sono avvicinato allo sport per i legami emotivi e il coinvolgimento delle persone nello sport. Nel mio Paese ho visto come la gente reagisce quando il proprio club o la propria squadra del cuore vince o perde. È come se il loro destino dipendesse da questo. Mi sono reso conto di quanto sia grande il potere sociale dello sport e di come possa essere utilizzato per la trasformazione sociale. Le Olimpiadi di Parigi sono state progettate sulla base di questo principio – costruire un socialbusiness olimpico – è solo un inizio, ma è un inizio importante. È il primo passo di un viaggio globale di mille miglia”.
In questi giorni ha incontrato Macron: La Francia ha fatto della sostenibilità la pietra miliare di questi Giochi. Siete entrambi soddisfatti dei risultati ottenuti finora?
“Entrambi crediamo che siano stati fatti passi importanti: è solo un inizio, ma è un inizio importante. È il primo passo di un viaggio globale di mille miglia”.
Ci sarà un giorno in cui un atleta riceverà il Premio Nobel per la pace?
“Non vedo perché no. Se un atleta può avere un impatto sulla pace tra le nazioni, potrebbe ricevere il Premio Nobel per la pace. Io ho ricevuto il premio Nobel per la pace per aver dato piccole somme di denaro alle persone, meccanismo che è stato replicato e ampliato. Credo che la cosa importante sia il modo in cui questo influisce sul processo di pensiero globale. I giovani vedono le cose in modo diverso, quindi non vedo perché un giorno un giovane o uno sportivo non possa ricevere il Premio Nobel…”
In ogni caso, quale atleta incarna meglio i suoi valori etici in questo momento?
“Non me ne viene in mente uno. Non ho molta familiarità con le personalità dello sport!” – Comunque per chi tifa? “Tifo per la squadra del Bangladesh, e naturalmente sono un sostenitore anche della squadra olimpica dei rifugiati”.
Parlando di atleti, come vede la situazione della loro vita dopo il ritiro..
“Sì, ho sostenuto che gli atleti dopo il loro massimo splendore si sentono a volte esclusi dalla società. Ma credo che sia solo l’inizio della loro Fase 2: possono diventare imprenditori e liberare così la loro creatività e il loro potere. Credo che ogni essere umano sia un imprenditore nato. Possono ancora essere potenti esseri umani creativi che contribuiscono alla propria vita e a quella degli altri anche quando non sono più atleti che gareggiano.
E’ per la sponsorizzazione sociale o altro?
“Parliamo di social business, che è un’azienda senza dividendi per risolvere i problemi umani. Può essere usato per risolvere ogni problema umano. Lo abbiamo fatto in molti modi in Bangladesh e altrove. È uno strumento potente nella nostra cassetta degli attrezzi per cercare di trovare soluzioni ai problemi sociali. Può iniziare in modo piccolo, con un potenziale di crescita molto grande”.
Mi tolga una curiosità: cosa pensa di quegli atleti star, americani ma non solo, che portano l’aria condizionata al Villaggio?
“Non ne sono a conoscenza, ma è importante introdurre una coscienza sociale fin dalle prime fasi del processo. Non ha senso fare questo tipo di cose nel contesto del tentativo di avere un pianeta sicuro. Non possiamo vincere medaglie a costo di distruggere il pianeta. Non si tratta di vincere, ma di vincere con uno scopo”.
Lei ha un forte legame con i Giochi di Milano-Cortina. Cosa fate esattamente per l’evento?
“Gli organizzatori delle Olimpiadi del 2026 si sono interessati a ciò che Parigi stava facendo con la creazione di un’Olimpiade del social business e hanno voluto fare la stessa cosa. Le Olimpiadi di Parigi hanno generato molto entusiasmo e vogliono mantenere la continuità di questo entusiasmo nei Giochi invernali del 2026. Ci sono molte caratteristiche comuni tra le Olimpiadi estive e quelle invernali e molto da imparare.
A proposito delle Olimpiadi invernali: il cambiamento climatico causerà sconvolgimenti anche negli sport (in particolare nello sci, sempre più a rischio). Ma soprattutto aumenterà il divario tra i Paesi molto ricchi e quelli molto poveri. Quali sono gli interventi più urgenti da attuare a livello globale?
“Ho parlato della necessità di creare una nuova civiltà basata sulla visione di creare un mondo a tre zeri: zero emissioni nette di carbonio, zero concentrazione di ricchezza e zero disoccupazione. Ognuno di noi deve partecipare alla costruzione di questo mondo, indipendentemente da chi sia o da dove si trovi. Lo sport, che è una potenza globale, può svolgere un ruolo importante nella creazione di questa nuova civiltà”.