Quando una stagione volge al temine, non tutti sono contenti o dispiaciuti. Se si indagassero i rispettivi motivi individuali, chissà quanti ne uscirebbero fuori di strampalati, assurdi, incredibili e via immaginando.
Personalmente sono dispiaciuta quando l’estate, come l’attuale, sta per lasciarci perché il sole è il mio elemento naturale; un piccolissimo segno di contentezza, invece, mi pervade perché non vedrò corpi (svestiti) di tutte le forme e… difformità, ricoperti di tatuaggi, altrettanto strampalati, assurdi, incredibili e via eseguiti.
Per non compromettermi, riporto una curiosità di Pia Ricciardi, apparsa sulla rivista mensile Varietas del dicembre 1913 (A. X, n. 116), dal titolo “Il tatuaggio”:
«Erodoto narra che il rapitore della bella Elena fuggendo alla giusta ira di Menelao, giunto presso il tempio di Ercole, si fece tatuare per consacrarsi agli dei e rendersi invulnerabile. Anche Tolomeo si fece tatuare in onore di Bacco. Gl’idolatri usavano imprimere sul loro corpo le immagini della divinità, ecco perché il Signore, nella legge data a Mosè, proibì il tatuaggio come segno di idolatria; eppure i primi cristiani di Oriente si facevano tatuare. Nel secondo secolo d.C. il tatuaggio veniva considerato come una punizione che s’infliggeva alle adultere; nel 600, a Napoli, si tatuavano i ladri prima che entrassero in carcere, e i trovatelli, detti esposti, della S. Casa dell’Annunziata.
Secondo gli storici e gli antropologi, il tatuaggio fu introdotto nell’Europa occidentale dai celti che adoravano animali fantastici e domestici; il de Blasio [antropologo, 1858-1945], fondandosi sull’analogia che presentano i tatuaggi usati dagli abitanti dell’Africa e quelli usati dagli abitanti dell’Italia meridionale, è di opinione che, come i celti diffusero il tatuaggio nell’Italia settentrionale, i popoli dell’Africa lo diffusero in quella meridionale, che il Mediterraneo metteva in continui rapporti di commercio con l’Africa.
Presso i popoli barbari questo bizzarro costume è molto in uso. In generale è l’uomo che è tatuato, e quanto più il popolo è selvaggio, tanto più vistoso è il bizzarro ornamento, proprio come accade per gli animali nei quali il maschio presenta maggior bellezza di forma e di colori. Presso gli Arabi, più evoluti, sono tatuate anche le donne.
In Europa il tatuaggio è proprio dei marinai, dei soldati, dei contadini, degli operai e…dei delinquenti. Il de Blasio, che lo ha riscontrato pochissime volte in presone agiate, distingue in esso le seguenti categorie: religioso, d’amore, di nomignolo, di vendetta, di disprezzo, di professione, di bellezza, di data memorabile, osceno, simbolico, etnico e politico. I camorristi napoletani, come in generale i malviventi di tutte le grandi città italiane ed estere, sono tatuati: quando la pubblica sicurezza riesce ad agguantare qualcuna di queste egregie persone rileva, fra i segni caratteristici, il tatuaggio.
In qual modo si esegue questa bizzarra decorazione della pelle? O si traccia il disegno sul corpo colla matita, poi lo si punteggia con un ago e sulla pelle che sanguina si stropiccia la sostanza colorante; o si mette sul disegno uno strato di colore e poi vi si passa l’ago; o si passa l’ago intinto nella sostanza colorante; o addirittura si applica sul corpo il disegno eseguito su carta traforata, proprio come fanno i disegnatori di ricamo in bianco.
Oggi non sono soltanto gli umili e i malviventi quelli che usano questa barbara decorazione. In certi istituti dei sordo-muti, negli Stati Uniti d’America, si tatuano sul collo i piccoli ricoverati perché, in caso di smarrimento, siano ricondotti al sicuro; inoltre, pure in America, gentildonne e gentiluomini si compiacciono di adornare così il loro corpo e la bizzarra equivoca moda varca l’oceano. Già, oggi pare sia di buon gusto somigliare un po’ agli apaches…».