C’era una volta una dote che oggi, per chi la possedesse (e non solo), sarebbe un tripudio: la sincerità, che non necessariamente si accompagna all’onestà e alla lealtà. Da quando ogni ostacolo morale è stato abbattuto da una società sempre più globale e consumista, questo lemma non sempre rappresenta una virtù. Senza il rispetto, l’educazione e, soprattutto, il timore della punizione, la sincerità si presenta diversa, più sfacciata, liquida, irriverente, svergognata, impertinente e finanche spudorata. Eliminati i tabù, via con le dichiarazioni di ogni genere. Gli anglosassoni lo definirebbero outing, che non sempre è veritiero. Perciò, oggi, la domanda è: viviamo in un’epoca sincera?
Tanto per cominciare, la sincerità non sempre è compatibile con le relazioni umane, amicali, lavorative o amorose. Né può essere considerata una virtù, poiché a volte è irritabile, più spesso è irritante, in particolare se ci si ritrovi di fronte ad una persona che non l’apprezza, una persona bugiarda, ipocrita. Per certi versi essa è socialmente rovinosa, in particolare per chi è moralmente integro, o quantomeno corretto, mentre per chi è disposto a cedere sul fronte della integrità morale il problema è diverso, poiché chi ostenta sincerità non è per forza onesto. Chi ruba ad esempio, può anche confessarlo senza smettere di rubare; al contrario, si può decidere di non raccontare la verità a qualcuno per non ferirlo.
Di certo, il legame tra sincerità e verità non è una costante. Chi è sincero dice quel che pensa o, peggio, quel che sente, ma non è detto che sia la verità. In altre parole, dire quel che si pensa non significa pensare quel che si dice. Per questo la sincerità è connotata da un forte carattere soggettivo, mentre la verità obbliga alla realtà oggettiva. Il vero problema è che la sincerità viene spesso confusa con la spontaneità. Dire tutto quello che ci passa per la mente non è sincerità, ma spontaneità e quest’ultima, a differenza della prima, non comporta riflessione. E se la sincerità non è sempre una virtù figuriamoci la spontaneità, la quale altro non è che l’affrancamento da un impulso, un’incontinenza che, camuffandosi di sincerità, diviene rovinosamente dannosa per i rapporti umani, pesando smisuratamente su chi è moralmente integro.
La spontaneità, celatasi nella sincerità, ferisce la sensibilità altrui perché non deve curarsene. Oggi tutto si può. La proibizione ha ceduto il passo al permissivismo, il divieto alla concessione, l’intimità allo sputtanamento, così tutto ciò che era inibito oggi viene esibito, in maniera spontanea. Ma anche sincera? Non credo! È il narcisismo a prendere il sopravvento e Narciso, si sa, non fece una bella fine.
La sincerità di una volta è divenuta la spontaneità di oggi, che ha sconfinato inevitabilmente nell’ipocrisia. D’altra parte dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità è solo una questione giudiziaria. Lo giuro! Ma la verità è, consentitemi il giro di parole, che anche la verità ha mille facce. Nessuno è custode di essa nella sua pienezza. Ognuno di noi ne conosce una parte e ciò non vuol dire che non ne esistano altre. Essa è più grande di noi e non può essere ridotta a semplici punti di vista, né a soggettive interpretazioni.
Insomma, la spontaneità spesso ferisce e non s’identifica con la sincerità, che vale solo se è consapevole e riflessiva. Mentre la sincerità è soggettiva, e non coincide con la verità, e rappresenta una virtù solo se si rivolge agli altri senza secondi fini e se è capace di rispettarli con prudenza. Come tutte le virtù, la sincerità vale solo se non violenta altre virtù, contrariamente sconfina nella malvagità. Quindi, oggi, viviamo in un’epoca sincera? Assolutamente no! Ma non dimentichiamo cosa successe a Narciso: s’innamorò della propria immagine e cadde nel lago in cui si specchiava.