Mariachiara Basurto è Commissario Capo della Polizia di Stato in servizio al Gabinetto della Questura di Bari. La pubblicazione che segue rappresenta uno dei suoi progetti per l’Università di Roma a seguito di una intesa ministeriale tra Università e Ministero degli Interni. Il lavoro rappresenta, alla luce delle più recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali, una disamina dei poteri della Pubblica Amministrazione rispetto al diritto di accesso con riguardo ai principi di trasparenza, prevenzione della corruzione e proporzionalità.
Oggi estrarremo la prima parte dedicata alle novità ed attualità del tema della ricerca.
Le recenti modifiche normative e l’approccio giurisprudenziale innovativo in materia di accesso amministrativo da un lato pongono l’ordinamento italiano in linea con il sistema euro-unitario ed internazionale previsto in materia, dall’altro rendono più delicato il bilanciamento con il diritto alla riservatezza.
L’ordinamento europeo e quello internazionale, infatti, concepiscono l’accesso amministrativo come strumento di controllo dell’operato della pubblica amminitrazione e quale mezzo che consente al privato di informarsi e quindi esercitare la libertà di espressione.
La possibilità di conoscere dati e/o informazioni detenute dalla pubblica amministrazione è da sempre espressione dell’esigenza di garantire la trasparenza amministrativa. Negli ultimi anni, al fine di combattere la corruzione amministrativa sono state notevolmente ampliate le ipotesi di accesso.
Oggi nel nostro ordinamento sono presenti quattro tipologie generali di accesso agli atti amministrativi (oltre alle specifiche previste per esempio in materia ambientale o dal Testo Unico degli enti locali):
- l’accesso documentale ai sensi della legge nr. 241 del 1990,
- l’accesso civico semplice introdotto nel 2013 e previsto nel D.Lgs. 33 del 2013
- l’accesso civico generalizzato disciplinato dal d.Lgs. 33 del 2013 come modificato dal D.Lgs. 26 maggio 2016 n.97 e
- l’accesso ai dati personali da parte dell’interessato che però non è istituto di stampo pubblicistico e non formerà oggetto di questo progetto.
Il quadro normativo odierno consente di affermare che l’accesso amministrativo è diventato un modo per controllare l’operato della Pubblica Amministrazione. Questa affermazione è ancora più forte se si volge lo sguardo alla recentissima giurisprudenza amministrativa che amplia i poteri della pubblica amministrazione a fronte dell’istanza di accesso, poteri che sono determinanti al fine di delimitare le figure normative previste.
Il diritto di accesso non è però incondizionato: la trasparenza incontra infatti, il limite rappresentato dalla tutela del diritto alla riservatezza.
La tutela della privacy ha fondamento tanto costituzionale (artt. 2 e 15) quanto sovranazionale (artt. 7 e 8 Carta di Nizza, art. 16 TFUE, art 8 Cedu) ed è prevista sia in senso dinamico sia in senso statico. Dal punto di vista statico il diritto alla riservatezza è definito come il diritto di tenere segreti aspetti, comportamenti e circostanze relative alla propria sfera intima; nel senso dinamico si compone di tutte quelle regole che delineano le modalità di trattamento dei dati personali e conferiscono al soggetto interessato poteri di controllo e intervento.
Anche la materia della privacy è stata recentemente interessata da modifiche legislative. Direttamente applicabile dal maggio 2018 negli Stati membri e obbligatorio in tutti i suoi elementi è il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Reg. Ue 2016/679, del 27 aprile 2016) che, tra l’altro, prevede che il diritto alla protezione dei dati personali non è una prerogativa assoluta ma deve essere contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità.
L’evoluzione legislativa, dettata dalla necessità di prevenire la corruzione amministrativa ed assicurare la trasparenza dell’operato delle pubbliche amministrazioni rischia di comportare una riduzione della tutela della riservatezza dei soggetti titolari dei dati di cui si tratta. E’ per questo che la giuriprudenza ha precisato che tra i compiti della pubblica amministrazione a fronte di un’istanza di accesso amministrativo c’è quello di bilanciare le esigenze di accesso con quelle di tutela della privacy nel rispetto del principio di proporzionalità e di consentire l’ostensione nei limiti del principio di minimizzazione.
2. Articolazione del progetto di ricerca.
Le affermazioni appena svolte possono essere apprezzate maggiormante ripercorrendo brevemente l’excursus storico in materia di accesso amministrativo.
Prima del 1990 l’accesso amministrativo non era consentito, salvo disposizioni specifiche (per esempio in materia di enti locali o urbanistica). La regola generale (prevista, tra l’altro, dall’art. 15 del Testo unico degli impiegati civili) prevedeva il rifiuto di fornire informazioni, il diniego di visionare documenti amministrativi e il silenzio dei funzionari pubblici.
La legge 241 del 1990 stabilisce, per la prima volta, il diritto di accesso ai documenti amministrativi per i soggetti titolari di un interesse diretto, concreto e attuale al documento a tutela di una situazione giuridica soggettiva. La giurisprundenza ha subito precisato che l’accesso previsto dalla legge del 1990 non è un modo per consentire un controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione e quindi, legittimati ad ottenerlo sono solo coloro che, titolari di una posizione giuridica differenziata (non necessariamente diritto soggettivo o interesse legittimo) dall’accesso possono ricavare una utilità. Non era consnetito il c.d. accesso perlustrativo finalizzato cioè esclusivamente a conoscere il modo in cui opera la pubblica amministrazione. In linea con queste prese di posizione la giurisprudenza ha previsto che possono essere legittimati all’accesso non solo i soggetti portatori di interessi egoistici e personali ma anche di interessi diffusi. In quest’ultimo caso però occorre accertare in concreto se gli atti di cui si chiede l’accesso sono collegati con la situazione giuridica che l’ente associativo intende tutelare (in altri termini occorre che la conoscenza degli atti e le iniziative eventualmente conseguenti siano in grado di concorrere alla tutela della medesima posizione giuridica).
Il legislatore del 1990 prevede inoltre che l’accesso può avere ad oggetto solo documenti amministrativi e non informazioni o atti non ancora redatti dall’amministrazione. Una richiesta di accesso ad atti amministrativi non redatti ma da effettuare ai fini dell’ostensione, determinerebbe un aggravio dell’attività amministrativa.
La prima novità in materia di accesso è stata prevista dal D.Lgs. 33 del 2013 emanato sulla scia della normativa anticorruzione. Diverse previsioni internazionali (art 6 della Convenzione dell’organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, gli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione adottata a Strasburgo) hanno previsto la necessità di reprimere e prevenire fenomeni corruttivi. Il legislatore nazionale è intervenuto a tal proposito nel 2012 e ha modificato tanto la disciplina penalistica volta alla repressione della corruzione, quanto la disciplina amministrativa che mira a prevenire il fenomeno.
Con riferimento all’ultima tipologia di interventi il legislatore ha previsto modifiche organizzative e novità inerenti le attività amministrative. Le modifiche organizzative sono :
- l’istituzione dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) ;
- la predisposizione di strumenti di programmazione nazionali (il piano nazionale anticorruizone emanato dall’Anac e indicante le direttive da seguire a livello territoriale) e decentrati (il piano territoriale anticorruzione che il responsabile per la prevenzione della corruzione di ogni pubblica aministrazione deve adottare indicando i settori a rischio corruzione dell’amministrazione di appartenenza e le proposte rimediali) ;
- introduzione di misure volte a garantire l’integrità dei funzionari pubblici mediante la previsione di regole relative all’incandidabilità e all’incompatibilità di incarichi e mediante l’adozione di codici di condotta del dipendente pubblico.
Le novità che riguardano l’attività amministrativa sono l’introduzione della disciplina del conflitto di interessi (art 6 bis legge 241 del 1990 e art 42 del codice dei contratti pubblici) e le modifiche in materia di trasparenza.
Se fino al 2013 la trasparenza amministrativa era intesa nel senso di correttezza e imparzialità della Pubblica Amministrazione, dalle modifiche volte al contrasto della corruzione la trasparenza è intesa anche come pubblicità ovvero accessibilità totale ai dati amministrativi.
Il legislatore nel 2013, infatti, prevede che chiunque può chiedere l’accesso ai dati che la pubblica amministrazione è obbligata a pubblicare sul proprio sito (accesso civico semplice). Si tratta di quello che la dottrina definisce accesso-sanzione perchè l’accesso è il rimedio previsto per la violazione degli obblighi di pubblicazione.
Con la modifica normativa del 2016 all’art 5 del D.Lgs. 33/2013 comma 2 il legislatore ha previsto la possibilità per chiunque di chiedere l’accesso « ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione » (accesso civico generalizzato). La giurisprudenza precisa che la richiesta di accesso non deve essere motivata ma è necessario che si evinca il collegamento con una delle finalità indicate dal legislatore, ovvero controllare il perseguimento dell’interesse pubblico e l’utilizzo delle risorse pubbliche o promuovere il dibattito pubblico. Si tratta, quindi, di un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione che consente una partecipazione del cittadino all’attività amministrativa e che permette di definire l’amministrazione «una casa di vetro al servizio del cittadino». I limiti a questo modello di cittadinanza attiva sono delineati dall’art. 5 bis dello stesso decreto.
A fronte di queste novità legislative è fondamentale comprendere che poteri ha la pubblica amministrazione nel caso di istanza di accesso.
Ogni accesso amministrativo potrebbe ledere o mettere in pericolo la riservatezza di altri soggetti. Il Regolamento (UE) 679 del 2016 ha previsto che il diritto alla protezione dei dati personali va contemperato con altri diritti fondamentali in virtù del principio di proporzionalità.
Nell’ipotesi di richiesta di accesso documentale, in via preliminare occorre precisare che per « pubblica amministrazione » il legislatore intende sia i soggetti di diritto pubblico sia i soggetti di diritto privato limitatamente all’attività di pubblico interesse, in sintonia, dunque, con la nozione frammentaria e sostanziale di pubblica amministrazione ormai accolta nel jostro rodinamento e di derviazione eurounitaria.
L’ente che riceve l’istanza di accesso deve :
- verificare se il richiedente è in possesso dei requisiti di legittimazione e interesse previsti dalla legge,
- accertare l’insussistenza di un’ipotesi di esclusione del diritto di accesso espressamente prevista dal’art 24 co 1 e co 6 L. 241 del 1990 (si pensi all’art. 329 cpp o alla limitazione prevista in materia tributaria) e
- deve effettuare un bilanciamento con l’esigenza di riservatezza ai sensi del comma 7 dell’art. 24 L. 241/1990. Ciò significa che l’accesso ai documenti deve essere consentito nei limiti stabiliti dagli articoli 59 e 60 del Codice privacy in ragione delle diverse tipologie di dati. La pubblica amministrazione deve, inoltre, consentire la conoscenza di dati al richiedente nei limiti della utilità degli stessi, procedendo a mascherare i restanti dati al fine di garantire la tutela della riservatezza.
La giurisprudenza precisa che la pubblica amministrazione ha poteri di valutazione e accertamento anche nel caso di accesso civico semplice. In questo caso è il legislatore ad imporre alla pubblica amministrazione la pubblicazione di alcune categorie di documenti, quindi il legislatore effettua a monte il bilanciamento tra diritto alla conoscenza totale e tutela della riservatezza. La Consulta nel 2019[1] ha precisato che il limite che guida il legislatore nell’indicazione di ciò che deve essere pubblicato è il principio di proporzionalità: il legislatore deve verificare l’indispensabilità della pubblicazione e quindi della dequotazione della tutela dei dati personali. Il legislatore però si limita tendenzialmente ad individuare categorie di documenti da pubblicare, lasciando alla singola amministraizone la scelta del « quomodo » in merito. L’amministrazione dovrà quindi scegliere quali dati contenuti nel documento (che la legge impone di pubblicare) devono essere esposti in base alla verfica di pertinenza del dato. Il principio è oggi indicato nell’art. 5 del Regolamento (UE) 679 del 2016 che prevede la possibilità di trattare i dati nei limiti della loro essenzialità rispetto al raggiungimento dello scopo del trattamento.
Nel caso di pubblicazione facoltativa, cioè se la pubblica amministrazione si autovincola alla pubblicazione di certi dati occorre anonimizzare i dati personali eventualemnte contenuti (particolare cautela prevista dall’art. 7 bis del D.lgs 33/2013).
Nell’ipotesi dell’accesso civico generalizzato la pubblica amministrazione deve verificare che non sussitano le ipotesi di esclusione previste dal legislatore al comma 3 dell’art 5 bis del D.Lgs. 33 del 2013 e deve accertare che l’accesso non pregiudichi uno degli interessi pubblici e privati elencati nello stesso articolo ai commi 1 e 2. Quest’ultima verifica richiede alla pubblica amministrazione di contemperare gli interessi elencati con quello all’accesso. La giurisprudneza precisa che in questo esame deve essere considerato non solo l’interesse all’accesso civico al controllo della pubblica amministrazione o alla promozione del dibattito pubblico ma anche quello dell’istante che potrebbe ottenere una utilità dall’accesso che devono essere comparati secondo il principio di proporzionalità. Il bilanciamento di questi interessi deve ssere effettuato con riferimento al pregiudizio concreto secondo il cd « test del danno », vale a dire la pubblica amministrazione deve negare l’accesso se è ragionevolmente prevedibile (e non meramente ipotetico) che questo pregiudichi in concreto la tutela di uno degli interesse indicati dal legislatore.
La giurisprudenza ha precisato che un possibile bilanciamento degli interessi contrapposti possa avvenire mediante l’oscuramento di alcuni dati afferenti agli interessi antagonostici protetti.
Con determinazione del 2016 l’ANAC ha emanato alcune linee guida prevedendo che la pubblica amministrazione non può negare l’accesso civico generalizzato prefigurando il rischio di un pregiudizio in via generica e astratta ma deve indicare chiaramente quale interesse è pregiudicato nonchè deve valutare se il pregiudizio concreto prefigurato dipende direttamente dall’accesso all’informazione richiesta.
Nonostante qualche affermazione in giurisprudenza della possibilità di configurare l’abuso di accesso civico generalizzato (quando l’istanza ostensiva imponendo un facere straordinario capace di aggravare l’ordinaria attività amministrativa, costituisce una manifestazione sovrabbondante e contraria alla buona fede dell’istituto) deve ritenersi che l’accesso civico generalizzato rappresenti la possibilità per il quisque de populo di controllare l’operato della pubblica amministrazione.
L’accesso civico generalizzato è stato ritenuto da una recente sentenza dell’Adunanza Plenaria uno strumento orizzontale, utilizzabile anche nei settori speciali (il caso specifico riguardava una procedura di evidenza pubblica ma si può prevedere che la sentenza avrà effetti anche in tutti gli altri settori speciali: edilizia, urbanistica, commercio). Prima della pronuncia un orientamento giurpsrudenziale sosteneva che il settore degli appalti pubblici, in quanto speciale, necessitava di disposizione ad hoc ai fini dell’applicabilità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato, che se applicato rischierebbe di consentire a soggetti privi di un interesse alla conoscenza di un documento ai fini della tutela di una situazione giuridica, di conoscere informazioni commerciali di un concorrente nel settore di riferimento. L’Adunanza Plenaria ha sposato però l’opposta tesi, sostenendo che non esiste una norma escludente e se pure venisse introdotta si porrebbe in conflitto con il diritto all’accessibilità totale individuato dalla Consulta del 2019 n. 20 come precipitato degli articoli 2 e 97 dellla Costituzione.
Con la stessa sentenza l’Adunanza Plenaria ha precisato che la pubblica amministrazione deve esaminare la richiesta di accesso valutando la sussistenza dei requisiti previste per tutte le forme di accesso consentite dalla legge, salvo che nella richiesta il soggetto non indichi espressamente di richiedere una delle forme di accesso. Ciò significa che a fronte di una istanza di accesso la pubblica mministrazione deve valutare anche la possibilità di concedere un accesso civico genralizzato. Nel caso affrontato dall’Adunanza Plenaria ciò comportava la possibilità di accedere secondo le regole dell’art 5 co 2 D.Lgs 33 del 2013 agli atti di esecuzione di un contratto stipulato in seguito ad una procedura di evidenza pubblica. La dottrina non ha mancato di sottolineare che la conseguenza dell’affermazione dell’Adunanza Plenaria è che anche un terzo, non partecipante alla procedura di gara può chiedere l’accesso civico generalizzato ad atti della gara secondo le regole del D.Lgs. 33 del 2013 (tanto nella fase di scelta quanto in quella di esecuzione).
La recente pronuncia giurisprudenziale, quindi
allarga ulteriormente le maglie del diritto di accesso prevedendo da un lato
l’applicabilità generalizzata dell’accesso civico generalizzato e imponendo dall’altro, alle
pubbliche amministrazioni di verificare quale tipologia di accesso può essere
consnetita al richiedente che presenta istanza generica.