La riforma del premierato proposta dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni può rappresentare un buon punto di svolta per l’attuale governo, o, come alcuni auspicano, una buona occasione per la sua caduta. Punto di svolta, perché rafforza la sovranità popolare, visto che il popolo potrà, finalmente, eleggere direttamente il premier (con grande soddisfazione per la destra); occasione di caduta del governo poiché, come tutte le riforme (che di solito modernizzano un sistema), come fu anche per Matteo Renzi, non sempre vengono viste di buon’occhio e scatenano le più “vivaci” reazioni e rappresaglie politiche che la storia ricordi.
Questa volta, però, il Premier in carica fa sul serio, e, pare, che neanche al popolo l’idea dispiaccia, dato che con l’elezione diretta del Premier si potrà scegliere chi vedere nelle apparizioni televisive e a Palazzo Chigi.
l’idea originaria si è un po’ ridimensionata, passando dalla repubblica presidenziale al più modesto premierato. La politica cederebbe il privilegio della scelta del premier a favore del popolo elettore, scoraggiando di fatto i tentativi di congiure di tutti i palazzi romani.
Senza parlare del grande vantaggio della eliminazione dei senatori a vita, che, per meriti, per carità, di ogni genere nel mondo scientifico, letterario, ecc. ecc., vengono mantenuti, con tutti i privilegi possibili, dai contribuenti italiani.
Tra l’altro, quasi sempre a sostegno della sinistra. Insomma, non sarà una gran riforma, come dice la sinistra “progressista”, ma è una via di mezzo tra il presidenzialismo puro e la democrazia delegata.
Su una cosa non ragiona la sinistra: il premierato è certamente utile ad impedire che il governo del paese passi alle mani di tecnici e snaturi l’importanza del voto attraverso giochi di palazzo, come la storia insegna.
Ma anche se l’Italia è poco sovrana per via dell’appartenenza all’Europa, almeno un tentativo di ammodernamento c’è.
È chiaro, non si tratta del semipresidenzialismo alla francese, ma se un tempo il premierato arginava la partitocrazia, oggi trae la sua linfa dal disfattismo partitico e tenta di colmare il vuoto politico che esso lascia.
E forse ce n’è veramente bisogno.