Nel
nostro Paese sono milioni i cittadini che non possono curarsi perché non hanno
i soldi per farlo e, per esprimere un eufemismo costituzionale, lo Stato sempre
meno “garantisce cure gratuite agli indigenti”.
In realtà, ciò che accade oggi è semplice: il
sistema sanitario nazionale è in crisi e la sanità viene venduta alle
assicurazioni. A colpi di spending review, i politici hanno tagliato la spesa
sanitaria peggiorandone i servizi, gli strumenti, le condizioni in cui operano
i sanitari e le risorse umane. Gli “effetti collaterali” di questa politica
sanitaria si ripercuotono sui già lunghi tempi per le visite e gli esami
diagnostici e sull’operato dei medici, che sbagliano sempre più spesso. Tali fenomeni
appongono un timbro sul sistema sanitario nazionale classificandolo tra quelli definiti
“malasanità”.
La politica dell’ultimo decennio ha favorito il
dilagare di questa situazione, per cui gli italiani che possono si curano a
pagamento. Un grande apporto al decadimento del sistema sanitario italiano è
stato dato dal sistema intramoenia (dentro le mura), che consente ai medici
pubblici di svolgere attività privata anche all’interno delle strutture
pubbliche, fuori dalle fasce orarie contrattuali, ricevendo il paziente dopo diversi
mesi se prenota una visita pubblica e immediatamente se ne prenota una privata.
Tale meccanismo non ha fatto altro che ridurre a dismisura gli introiti delle
strutture pubbliche, a vantaggio degli stessi medici che vi lavorano.
Risulta chiaro, allora, il motivo per cui i medici non vogliono eliminare il contingentamento numerico delle facoltà di medicina: essi non sarebbero più pochi e se il numero aumentasse gli attuali baroni rischierebbero di vedersi ridurre vertiginosamente il volume di affari.
La soluzione? L’abolizione dell’intramoenia. Si calcola che nel 2017 più di 12 milioni di cittadini hanno procrastinato o addirittura rinunciato alle cure per difficoltà finanziarie. La percentuale dei bisognosi è davvero alta: si va dal circa 51% per il Nordovest, al 73% per il meridione e le isole. In altre parole, non abbiamo più i soldi per curarci.
A peggiorare questo quadro ci pensano le assicurazioni private, le quali non assicurano gli ospedali pubblici proprio per via delle cause contro di essi per episodi di malasanità, costringendoli a sopportarne le eventuali spese. Esse, piuttosto, hanno intuito l’affare del futuro modello sanitario italiano, tendente all’emulazione di quello americano e inventano, sempre più spesso, polizze sanitarie che vengono vendute solo a chi è sano, dato che al momento della stipula bisogna dichiarare tutte le patologie di cui si soffre e più se ne dichiarano più alto è il premio da pagare. I massimali, spesso capziosamente, risultano apparentemente illimitati, salvo una serie di limiti previsti per ogni tipo di intervento chirurgico.
Del rispetto del bisognoso, ancora, nemmeno l’ombra. Inoltre, di solito, si assicurano persone fino al massimo di 75 anni, dopodiché la polizza non copre più i rischi, proprio nel momento di maggiore bisogno. E se il limite di età non è previsto, il costo è davvero elevato. Le clausole, sempre vessatorie, tra l’altro, permettono alle compagnie di recedere unilateralmente dopo anche un minimo esborso su qualunque evento, mettendo in difficoltà il paziente che non riuscirà più a farsi assicurare da un’altra compagnia.
Beneficiario usa e getta, in sostanza. Nonostante tutto la tendenza numerica di questo tipo di polizze è in aumento ed è dovuto al decadimento della sanità pubblica. Il paradosso è che, nonostante tutto, le eccellenze si trovano ancora, in prevalenza, nel settore pubblico. Le cliniche private sponsorizzate dalle assicurazioni sono utili solo per le patologie lievi, mentre per quelle gravi si ricorre ancora al sistema sanitario pubblico che, con i suoi costosi strumenti, riesce ancora a intervenire in questo campo.
A tutto ciò si aggiunge la carenza di medici, tanto pericolosa da convincere la Regione Veneto ad inserire nel piano socio-sanitario 2019-2023 un coacervo di misure volto a sopperire a tale carenza. E mentre la Regione Molise ha intenzione di richiamare al lavoro i medici in pensione per non far crollare il suo sistema sanitario, la Regione Veneto, oltre a fare questo, sta studiando un sistema di stipendi differenziati, molto allettanti per chi rimarrà in servizio oltre l’età del pensionamento. In più, ha stipulato convenzioni con una università straniera per dare agli studenti di oltre confine la possibilità di essere assunti già dall’ultimo anno di specializzazione che potranno conseguire in Italia.
Le due regioni in questione hanno abbattuto i limiti di spesa per l’assunzione del personale sanitario ed hanno dichiarato che ciò era necessario per non compromettere la capacità dei nosocomi di erogare livelli essenziali di assistenza. Il compito della politica dovrebbe essere quello di trovare soluzioni nuove e immediate per far fronte ad una ormai cronica carenza di medici dovuta a falsi vincoli giuridici ed economici. Il Veneto sta facendo scuola.
Di fatto la crisi è dovuta al numero chiuso dei corsi di medicina voluti dai baroni e dalla “casta”. Lo sanno anche i bambini. Ma a farne le spese è sempre il cittadino mentre i soliti noti si arricchiscono senza pietà presi come sono dal delirio di onnipotenza che li pervade. Onesti a parte! Ovviamente.