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sabato, Luglio 27, 2024

Adios Diego

Da Leggere

Massimo Basurto
Massimo Basurto
Avvocato/ Responsabile Associazione Arbitri

Erano gli anni Ottanta. Il mio amico di liceo Bruno Longo, giornalista sportivo agli albori, mi portò con sé in occasione di un’intervista che avrebbe fatto a Diego Armando Maradona all’uscita del “Capozza”, mitico stadio di Casarano. Maradona era lì con il Napoli per sostenere l’ultimo allenamento prima di un Lecce-Napoli che si disputò al “Via Del Mare”. È stata quella l’unica occasione in cui ho potuto vedere “palleggiare” in campo Maradona e, da vicino, parlare al microfono.

Tante riflessioni oggi si spendono per definire chi è stato, io dico certamente, il più grande calciatore della storia.  Ma una delle più belle l’ho ascoltata in radio proprio questa mattina.

Il grande scrittore Alberto Bevilacqua conobbe Maradona in una trasmissione televisiva e disse che guardandolo negli occhi scorgeva il sorriso del bambino, il sorriso di chi è portatore dell’eterna felicità, l’eterna gioia; e aggiunse: proprio per questo Maradona si ama come si ama un bambino.

Diego era arte, quello che faceva lui con la palla è stato quello che ha fatto Michelangelo con il pennello o con lo scalpello, è stato quello che ha fatto Leonardo Da Vinci con l’ingegno, è stato quello che ha fatto Leopardi con la penna, arte allo stato puro.

Il 25 Novembre del 2020 diventa la data di un lutto, se ne va a soli 60 anni l’eterno, si perché chi lascia eredità come quella di Diego entra nell’eternità.  È morto lo stesso giorno e mese di Fidel Castro del quale è stato grande amico così come lo è stato di Chavez e di Maduro, nel nome del suo solo ed unico idolo, Che Guevara, nel nome del suo credo, la revolution. Perché la vita di Diego è stata vissuta da rivoluzionario, fuori da ogni schema, da logiche di perbenismo ad ogni costo.  Per questo si sentiva amico con il conterraneo “Francisco” Papa Bergoglio.  Sempre vicino ed attratto dai più deboli, dai diversi. Lui raccontava che in un periodo negativo della sua vita, quando si trovava in una comunità di recupero per l’abuso di cocaina, conviveva con colleghi di percorso ammalati anche di patologie mentali e qualcuno di questi orgogliosamente si vantava di essere un giorno Napoleone un altro Giulio Cesare. Quando lui rispondeva:” ed io sono Maradona” nessuno gli credeva.

 L’Argentina si fermerà per tre giorni, Napoli ha proclamato il lutto cittadino e ha deciso di intitolargli il “San Paolo”; nemmeno il loockdown ha tenuto a casa migliaia di napoletani in pellegrinaggio da ieri al murales de “el pibe de ore”, del “figlio di Napoli” nei Quartieri Spagnoli.

A soli 10 anni cullava il suo sogno palleggiando nella polvere di quel barrio poverissimo.  Nella periferia di Buenos Aires papà Chitoro e mamma Tota incoraggiarono quel sogno facendo tanti sacrifici per mantenere tre figli di una famiglia povera ma dignitosa.

La leggenda narra che il 30 ottobre 1960 mamma Tota lo mise al mondo emettendo un grido che somigliava a un goal; era il segnale che portava in grembo il dono divino.

Diego prendeva a calci la fame e la sofferenza sin da bambino con il suo talento. Questo era Diego, figlio di quel barrio che non ha mai dimenticato e rinnegato e che si è portato dietro in quel bagaglio pieno di gioie e dolori, virtù e peccati.

I soldi non sono mai stati una priorità per Maradona perché nella sua vita tutto si è sempre mosso sull’equilibrio fragile di una passione.

Quando ha scelto di venire a Napoli da Barcellona, la società spagnola gli propose cinque volte lo stipendio che avrebbe percepito in Italia e lui disse: “io vado dietro il mio cuore, vado in una città, Napoli che mi sta spettando perché io invece dei soldi preferisco correre dietro a una palla”.  Eh sì, perché Maradona aveva capito che in quel luogo pieno d’amore poteva finalmente sentirsi a casa, gli scugnizzi proprio come i ragazzini del barrio. E quante di quelle famiglie napoletane hanno goduto della generosità senza fine di Maradona.

Maradona non è stato un esempio nella vita, ma con le sue magie ha fatto dimenticare tanti problemi e ha saputo dipingere i sogni di ognuno di noi.

Proprio ieri   Pelè ha detto:” Diego aspettami in cielo per giocare a pallone “.

Fabrizio De Andre’ amava dire:” la chitarra è il prolungamento della mia mano “, noi possiamo dire che per Maradona il pallone è stato il prolungamento del suo piede; lui e il pallone erano un unico corpo.

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