Che bella la provincia, cuore antico del nostro Paese, fulcro dell’arretratezza, che nel terzo millennio ha imparato a vivere i mutamenti sociali in tempo reale, così come le metropoli.
Perciò, oggi, al bar cambia anche il chiacchierio: non si parla più dei particolari piccanti della tresca dell’amico o del conoscente con la moglie del farmacista o dell’elettricista, né di quello che succedeva qualche anno dopo, ovverosia, le separazioni di quelle coppie e di quegli amici che erano stati scoperti dalle mogli.
Non fa più notizia nemmeno chi è stato costretto a vendere tutto il proprio patrimonio, nonché quello altrui, per via del gioco d’azzardo o della cocaina le cui “piste” sono pari alla somma dei chilometri delle autostrade di tutto il mondo; né chi si ubriaca oramai quotidianamente. Sembra che tutto sia entrato nella ordinarietà della vita quotidiana.
La provincia si adegua alle notizie altisonanti: tizio è scappato con caio, un uomo, lasciando la famiglia, moglie e due figli. Bella la provincia dal cuore antico e un po’ arretrato, vecchia credenza di ricordi fanciulleschi.
Ma i provinciali sono ormai moderni e non condannano più nessuno. Sono uomini di mondo, comprendono. E poi, ognuno è libero di vivere la propria vita come vuole. Certo, nonostante tutto, resiste ancora la parte bigotta e moralista, che si fa convincere con motivazioni molto semplici.
Ad ogni modo, moralismi a parte, che tipo di vita stiamo vivendo? Di cosa si tratta? Evoluzione, involuzione, mutamento sociale o trasformazione biologica? È vero, il mondo di ieri è finito. Ma questi continui cambiamenti dove portano? Si finisce di essere qualcuno per diventare qualcun altro. Perché? Forse perché il dogma della società attuale è tanto semplice quanto categorico e si può esprimere in tante varianti lessicali: ogni lasciata è persa, cogli l’attimo, prova, divertiti, non limitarti, la vita è breve, la vita va vissuta.
In tale modo sembra che non ci sia nessuna alternativa. Invece l’alternativa c’è, eccome. La vita va, si, vissuta, ma dedicandola a qualcuno o a qualcosa. Ad una persona, ad una carriera, a Dio, agli altri. Una vita non dedicata, o senza dedizione, è una vita misera, meschina e, paradossalmente, grama, non vissuta, ma subita, non progettata, ma determinata dalle circostanze.
Vivere senza un progetto di vita, senza un obiettivo, è inutile, equivale a non vivere. Certo, una vita dedicata può essere anche una vita vissuta. Ma in un continuo vivere e cambiare dove sono le certezze dell’essere? Nel vivere per i desideri, dov’è finita l’anima? Dov’è la stessa vita?
Quindi meglio dedicarla a qualcuno o a qualcosa questa vita. Ma a chi l’arduo compito di dirlo al bar? Io non lo dico.