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giovedì, Novembre 21, 2024

Protesta degli agricoltori. Come finirà?

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

Dalle mie parti c’è un antico proverbio che ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, l’astuzia del contadino: “contadino, scarpe grosse e cervello fino”.

Così i contadini, oggi agricoltori, manifestano contro i poteri forti. Visto che nessuno li tutela, eccoli insorgere contro gli interessi oligopolistici, industriali, ultra-nazionali, estranei, anzi, ostili alla terra. 

Loro, a differenza di tutti gli altri, spesso cresciuti nelle città, che la natura non la conoscono affatto, ecologisti inclusi, nella terra hanno i piedi ben piantati da generazioni. Quasi tutti gli odierni agricoltori hanno ereditato la terra che oggi sono pronti a difendere fino allo strenuo. E gli italiani sono con loro, probabilmente perché gran parte della popolazione italiana preunitaria, quasi i due terzi, lavorava nei campi? Forse. Fatto sta che la protesta non è per nulla ideologica e, in quanto tale, non difende privilegi, ma solo il lavoro e i prodotti che ne derivano.    

Nessuno ha più rispetto per la terra e per gli agricoltori. Negli ultimi decenni è l’agricoltura “industriale” che ha prodotto maggiori danni. Ad esempio, globalmente la zootecnia sfrutta il 70% della terra coltivata e produce circa il 20% del fabbisogno calorico dell’uomo, perciò alle aziende agricole si è sempre di più richiesto di aumentare la produzione. Così anche per i prodotti agricoli. Per poter aumentare la produzione l’industria agricola ha fatto sempre, più frequentemente, ricorso ad attrezzature che hanno danneggiato il terreno ed aumentato il fabbisogno idrico, con le conseguenze che conosciamo. In questo scenario, il mercato ha sempre più spesso richiesto il prodotto perfetto, perciò esse sono ricorse ai pesticidi. Ed ora, che l’Europa chiede di ridurre la superficie coltivata (ecco il Green Deal), con la scusa di inquinare meno ed avere un cibo più pulito, ovviamente, essi insorgono. Ma i piccoli agricoltori non sono le grandi industrie agricole.

Nelle rivendicazioni dei piccoli agricoltori scorgiamo l’antica contrapposizione tra la realtà dura del Paese e quella della legge, ovvero tra direttive europee e reali priorità dei cittadini di quel Paese. Ma la verità è che i prodotti agricoli devono uniformarsi a logiche di profitto industriale a livello globale, prescindendo dalla qualità alimentare e dalle tradizioni. E se gli italiani non sono gli unici a protestare (lo fanno anche olandesi, tedeschi e francesi), un motivo ci sarà.

Anche se la protesta nasce dalla base, il conflitto che se ne genera ha l’ardire di contrastare le oligarchie aziendali, l’euroburocrazia e la volontà politica che ad esse si prostra.  

Forse, il popolo europeo cavalca l’onda della diffidenza verso la lunghissima filiera alimentare che negli infiniti passaggi fa aumentare i prezzi al consumo? O, forse, nessuno ha voglia di sostituire la farina di grano con quella di insetti e la carne di maiale con quella artificiale? Forse! Chi lo sa! Di certo non è bello dover rispettare tutte le prescrizioni euro-imposte e, allo stesso tempo, vedere sui banconi dei supermercati i prodotti provenienti dai posti più disparati del mondo dove quelle regole non sanno nemmeno cosa siano.

Siamo diventati tutti ecologisti e animalisti. Non si devono usare i pesticidi perché inquinano, ma importiamo i prodotti agricoli da tutto il mondo; non si può andare a caccia e la fauna selvatica distrugge i raccolti; non si deve superare una certa percentuale di terreni coltivati, ma poi su quei terreni ci piantiamo pale eoliche e impianti fotovoltaici. Certo, è un bel casino.

Ma dietro a tutto questo c’è un regista: il profitto. E gli attori? Le grandi industrie e la politica servile, essendo relegato, il ruolo degli agricoltori (e dei cittadini impotenti) a quello di comparse.

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