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giovedì, Novembre 21, 2024

Il nucleo della fede cristiana non è identitario ma è la relazione con Gesù

Da Leggere

di Rocco D’AMBROSIO

Mi preme ricordare che il nucleo della fede non è identitario o movimentistico. Il cuore della fede cristiana è la relazione con Cristo Gesù: facendo tutto con Lui, in Lui e per Lui.  

Il Vangelo odierno: In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6, 24-35 – XVIII TO/B).

“Darsi da fare” è un’espressione molto comune tra persone che hanno obiettivi, scadenze, ristrettezze di tempo. Solo ai nostri giorni? Forse no, visto che Gesù la usa anche per i suoi discepoli. Fa un po’ parte dell’umanità, in ogni luogo e in ogni tempo, “darsi da fare” per qualcuno, per qualcosa, per un progetto, per una “causa” (dicevano gli gnostici), per un futuro, per la gente (dicono i politicanti di ultima leva). Il non darsi da fare è sinonimo di noia, apatia, abulia, forse è già l’anticamera della morte.

Il “darsi da fare” è stimolato dai nostri bisogni, gli “appetiti” (li chiamavano i medioevali), basandosi su istinti fondamentali, che sono il primo motore del nostro darci da fare. E’ così per il cibo, il riposo, la vita sessuale, il desiderio di conoscenza, le relazioni; ma, in seconda battuta, lo è anche per denaro e potere. Per tutte queste cose, in maniera diversa, a seconda dei soggetti coinvolti e delle circostanze, noi ci diamo da fare.

Gesù non critica direttamente il darsi da fare dei discepoli per “mangiare pane e saziarsi”; se lo avesse fatto avrebbe negato la nostra natura e questa è un dono del Padre, anche nei suoi appetiti, con buona pace di tutti quei credenti integralisti e reazionari, che, fra i diversi sport che seguono, inseriscono anche quello del negare la natura e i suoi doni, offendendo il buon Dio e tutte le sue creature.

Quindi Gesù non critica la nostra natura istintiva, ma invita a elevarsi un po’. In un altro passo dice: “Non di solo pane vive l’uomo” (Mt 3). Dicendo “solo” ammette che si viva “anche“ di pane (cioè lavoro, aspetti materiali ecc), anche se “non solo”. Il problema, allora, è capire o ricordare che non esistono solo gli appetiti immediati, ma anche quelli un po’ più celati, ma comunque essenziali per la nostra crescita e serenità.

Dice Gesù: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”. Il prosieguo del brano non lascia spazio a dubbi: il cibo che rimane è credere in Lui e nutrirsi di Lui. Si potrebbe semplificare – lasciando ad altri contesti uno studio delle due dinamiche del credere e nutrirsi, simili e complementari tra di loro – dicendo che il vero cibo è Lui e il vero darsi da fare è per Lui e in Lui. Non possiamo negare che siamo a volte sommersi da inviti cristiani che sottolineano aspetti devozionistici, ideologici, ma dimenticano il rapporto personale con il Cristo. La fede per qualcuno è condurre pseudo battaglie culturali e identitarie. Ci sarebbe molto da discutere su natura e finalità di questi gruppi. Qui mi preme ricordare che il nucleo della fede non è identitario o movimentistico. Il cuore della fede cristiana è la relazione con Cristo Gesù: facendo tutto con Lui, in Lui e per Lui.

Scriveva von Balthasar: «Chi vuole più azione ha bisogno di migliore contemplazione; chi vuole formare di più, deve ascoltare e pregare più profondamente; chi vuole raggiungere più scopi deve comprendere l’assenza di scopo e l’inutilità, il vivere senza rendita, perché questa è quel disinteresse e quella incalcolabilità che è tutta propria dell’amore di Cristo e, nell’imitazione di Cristo, anche di ogni amore cristiano».

Rocco D’AMBROSIO (www.rocda.it) è presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma. Tra gli ultimi suoi saggi: Come pensano e agiscono le istituzioni (2011), Ce la farà Francesco? La sfida della riforma ecclesiale (2016, tradotto in portoghese, spagnolo e inglese); con F. GIANNELLA, La corruzione: attori e trame (2018); Formare alla politica. L’esperienza di Cercasi un fine (Magma – Cuf 2020), con R. CRISTIANO, Siamo tutti della stessa carne. Dialogo su “Fratelli tutti” tra un cattolico e un agnostico (Castelvecchi editore 2020); Il potere. Uno spazio innquieto, Castelvecchi, Roma 2021, in spagnolo El poder. Uno espacio fragil, CEPROME-PPC, Ciudad de Mexico 2021. Si occupa di formazione sui temi di etica politica e pubblica, collaborando con diverse istituzioni civili ed ecclesiali; presiede l’Associazione Cercasi un fine, impegnata nella formazione politica e nell’accoglienza di migranti (www.cercasiunfine.it).

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