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venerdì, Novembre 22, 2024

Reddito di cittadinanza: la situazione in Italia

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

Spesso mi chiedo se il diritto di esistere e di vivere in modo libero e dignitoso appartenga a tutti o solo a coloro che lavorano e guadagnano (abbastanza). La risposta credo debba essere ricercata nella nostra costituzione che, sia pure imponente, oggi risulta impotente di fronte alla reificazione di una vita senza libertà e senza dignità a causa della mancanza di lavoro che rende sempre più remoto l’obiettivo della piena occupazione.

Fatta questa necessaria premessa, se leggiamo gli articoli 36 e 38 della Costituzione nei quali si afferma che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, la quale dev’essere sufficiente ad assicurare a sé ed alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa e che ad egli devono essere assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze in caso di infortunio, disoccupazione, ecc., si comprende come il “non lavoratore”, di fatto, non trovi spazio in essa, se non nella parte dell’art. 38 in cui si legge che l’inabile al lavoro, sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

L’articolo 38 è tanto retorico, quanto discutibile dal punto di vista socio-economico, giacché secondo il suo dettato normativo, per ricevere aiuti economici dallo Stato, sembrerebbe necessario essere, non solo sprovvisti di mezzi necessari per vivere (cioè poveri), ma anche inabili al lavoro, restando così esclusi dalla cosiddetta “protezione sociale”, tutti i poveri, non inabili, il cui stato di povertà derivi dall’impossibilità oggettiva di trovare un’occupazione, per contingenti ragioni di carattere economico, politico o sociale. È una delle grandi anomalie del sistema di protezione socio-economico italiano. Rispetto agli altri paesi europei, esclusa la Grecia, nonostante la pletora di interventi previdenziali ed assistenziali, in Italia manca una protezione economica per il non lavoratore.

Certo, non si può attribuire la responsabilità di tale gravissima mancanza ai padri costituenti, poiché essi erano convinti che in Italia si sarebbero realizzate condizioni tali per cui tutti sarebbero stati lavoratori, tranne gli oziosi, in ciò dimostrando una scarsa perspicacia. In altri termini, “il diritto a un’esistenza libera e dignitosa” sarebbe stato assicurato a tutti attraverso la garanzia di un lavoro adeguatamente retribuito e agli inabili senza i mezzi di sussistenza, richiamando tale pensiero, quello di San Paolo, recentemente ribadito da Papa Francesco, secondo il quale “Chi non vuole lavorare, neppure mangi!”. I poveri non erano previsti. Questa locuzione, calata nell’attuale realtà economico-sociale, sembra assumere un significato punitivo, del tipo chi non lavora non ha diritto alla vita, rivelando profondamente e chiaramente le lacune dei costituenti in materia economica, i quali non seppero prevedere che ad un certo punto non ci sarebbe stato lavoro per tutti.

Sulla scorta di questi precedenti storici, a fugare ogni dubbio fu il giurista Costantino Mortati, interprete autentico della costituzione, il quale riconobbe che le previdenze riconosciute all’articolo 38 avevano come destinatari anche tutti coloro che fossero abili al lavoro e tuttavia sprovvisti dei mezzi necessari per vivere perché mai occupati o non più occupati da lungo tempo per circostanze indipendenti dalla loro volontà. Ciò anche, e soprattutto, alla luce della più generale prescrizione dell’articolo 4, che pone, sia pure implicitamente, “l’alternativa fra l’obbligo di dare possibilità di lavoro oppure di provvedere al sostentamento del lavoratore non occupato senza sua colpa”. Secondo Mortati sarebbe, dunque, il fallito tentativo di garantire il diritto al lavoro a dare luogo a un vero e proprio diritto al “risarcimento per il mancato adempimento dell’obbligo di procurare lavoro”.

Volendo raccogliere la preziosa eredità lasciata da Costantino Mortati, con la sua interpretazione autentica e sistematica degli articoli 4, comma 1, e 38, comma 2, Costituzione, e volendo tradurre con lessico contemporaneo la sua idea di risarcimento per mancato procurato lavoro, lo si potrebbe fare con il concetto di reddito di cittadinanza, intendendo per tale il reddito garantito da uno Stato per assicurare, ad ogni cittadino che ne abbia bisogno, il diritto all’esistenza.

In Italia il quadro legislativo non ha subìto mutamenti, al contrario di quanto si crede, nemmeno con l’introduzione di quello che viene impropriamente definito reddito di cittadinanza, che non può essere considerata una forma di protezione sociale perché carente dei requisiti necessari per essere considerata tale, in quanto non universale, non incondizionato, non individuale e non automatico, come si richiede ad una vero e proprio intervento di protezione sociale.

Il reddito minimo garantito è previsto anche nell’articolo 34, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nel quale espressamente si riconosce il diritto a “un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti”. In questo quadro, Italia e Grecia spiccano per essere gli unici paesi dell’Unione Europea privi di misure universali a tutela dei minimi vitali, nonostante gli ormai reiterati richiami dell’Europa.

Quindi, benché necessaria per dare attuazione alla costituzione italiana e alle raccomandazioni dell’Unione Europea, una misura universale di reddito minimo garantito a livello nazionale in Italia ancora non esiste.

Per giustificare questa inadempienza v’è chi fa riferimento ai mali endemici dell’Italia, che la renderebbero, a differenza degli altri paesi europei, inadatta a porre in essere una tale misura, come, ad esempio, una particolare predisposizione antropologica degli italiani ad oziare per via del clima mite mediterraneo oppure il lavoro in nero, la forte disoccupazione, l’elevata evasione fiscale, la diffusa corruzione, il ridotto senso di legalità, la burocrazia, l’insostenibilità finanziaria e tanto altro.  

Ma, a mio avviso, il vero problema, in una repubblica fondata sul lavoro, è il lavoro, o meglio, la mancanza di lavoro, poiché il lavoro, quello dignitoso, è insostituibile nella vita di un uomo in quanto fonte di sussistenza, di elevazione intellettuale e morale, di dignità, identità, partecipazione e di progresso economico e sociale.

                                                                                                         

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