Mi onoro di conoscere l’artista Giuliano D’Elena, all’anagrafe Giuliano Chetta, tavianese. È una persona speciale, stimato pittore, scrittore, poeta e filosofo cristiano.
Andai a trovarlo nel suo studio vent’anni fa; da poco aveva pubblicato “ IL VOCABOLARIO DI DIO”.
Rimasi letteralmente folgorato dalla visione di quell’opera omnia sulla cristianità, bellissima anche nella impaginazione e nella forma estetica, colorata di un rosso cardinale in contrasto con il giallo del titolo. Lui capì subito il mio interesse e la mia curiosità e me ne fece dono.
Ho impegnato tanto tempo per leggere per intero quelle 2480 pagine divise in due volumi, ma è stato facile non perdermi perché la lettura si presentava agevole ed appassionante.
Scritto di teologia sistematica, ispirato da uno sguardo sul volto di Gesù tutto nuovo, visto come il Dio dell’amore che combatte contro ogni forma di ipocrisia e di potere.
Giuliano D’Elena definisce la “linea del cuore” il suo personale percorso spirituale.
Mi disse che sarebbe stato stampato in sole 400 copie, esclusive, di gran pregio, numerate e firmate dall’autore e accompagnate da una originale serigrafia a tiratura limitata dello stesso Giuliano D’Elena.
È la ragione per cui, tra i libri che arricchiscono la mia biblioteca, per il Vocabolario di Dio, serbo orgoglio ed anche un pizzico di gelosia .
Il contenuto si dipana svolgendosi per temi che in quegli anni potevano sembrare rivoluzionari e dei quali oggi è possibile discutere. C’è voluto un curato di campagna venuto dall’altra parte del mondo, di nome Francesco per sdoganare tutto quello che Giuliano scrisse vent’anni prima, al punto di far ritenere necessario all’autore “riaffermare” la coerenza della sua opera con la fede nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana .
Scrive D’Elena :” La Comunione non si deve negare a nessuno ” e ricorda come il sacerdote non potrà mai permettersi di negare a nessuno la Santa Comunione, perché come ripeté più volte Gesù stesso, IL SERVO NON È PIU’ DEL SUO PADRONE. Ed ancora “L’inferno dei tormenti non è opera di Gesù, ma della mente distorta dell’uomo”….Gesù non è il Dio delle formalità”.
Bellissima, rileggendola oggi, la sua presentazione dell’opera : “ Voglio passare dalle parole di carta alle parole di carne, quelle che in prima persona testimoniano l’amore per una crescita comune: la fraternità partecipata e la solidarietà vissuta “.
Nei due volumi, partendo sempre dalla figura redentrice di Cristo nella storia, si parla del rapporto tra Dio e l’idea umana di Dio, si precisa il concetto di immortalità e cosa significhi la differenza tra istituzioni di potere e istituzioni di servizio.
Quello di Giuliano D’Elena non è un liberismo fideistico fine a se stesso sì da opporsi ad un precedente rigorismo selettivo.
Sono di una bellezza emotivamente coinvolgente le riflessioni di Giuliano quando dice: “ Una cosa è certa : quella dell’Amore è una Forza che non si rassomiglia a nessun’altra conosciuta, perché è forza che nasce dall’umiltà, dalla capacità di dare e di servire, di essere disponibile a capire le ragioni dell’altro, fino ad aprirsi ed essere essenza che traspare, per specchiarsi insieme nella voglia di sentirsi fratello in chi soffre“.
È un libro contro ogni forma di potere, e quindi anche contro chi vuole servirsi delle leggi di Dio per costituirsi in potere religioso e sacerdotale.
Pensai in quegli stessi anni di agevolare la divulgazione dell’opera nei luoghi (oggi diremmo location ) più appropriati e cioè negli spazi di aggregazione della Chiesa. Lo proposi a Giuliano che subito acconsentì con entusiasmo e coinvolsi alcuni sacerdoti per la realizzazione dell’evento. Non rivelerò mai i nomi dei responsabili di quelle parrocchie, vi dico solo che l’idea apparve quasi sacrilega, blasfema. Era come mettere in discussione atavici ed eburnei poteri consolidati.
L’introduzione fu curata da un altro grande teologo e filosofo dei nostri tempi, il sacerdote professor Giuseppe Leopizzi, anch’egli figlio della terra salentina. Giustificò la mole dei volumi per la comprensione di una moltitudine di filoni filosofici oltre che teologici, dalla Fenomenologia di Hegel, alla Teosofia di Rosmini, alle vibrazioni interiori proprie di Agostino.
Io più semplicemente ho colto il pensiero dell’ Abbè Pierre, il religioso francese fondatore delle Comunità di Emmaus nate per servire i sofferenti e i poveri, ho respirato l’opera imperitura di Madre Teresa di Calcutta, ho immaginato la presenza di don Tonino Bello .
Don Tonino, così si faceva chiamare seppure vescovo, in segno di rinuncia ad ogni forma di potere e di attenzione verso gli ultimi. La “Chiesa del grembiule” soleva dire, per essere umile tra gli umili.
Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente don Tonino nel 1991.
Quanta emozione quando in un dicembre del 1992, già gravemente ammalato, partì insieme a cinquecento volontari per Sarajevo sotto assedio serbo a causa della guerra civile. Don Tonino manifestò per le strade della città tenuta sotto il tiro dei cecchini . Morì dopo pochi mesi.
Ecco in Giuliano D’Elena c’è tanto di don Tonino Bello; c’è l’invito alla rinuncia al potere, anche quello sacerdotale; c’è il potere dei segni e non i segni del potere del prete di Alessano; ci sono gli auguri scomodi di don Tonino.
Vorrei che la Chiesa fosse, in questo senso, più povera, che non ci fossero più i Paul MarcinKus di turno, che lo IOR venisse definitivamente riformato ed utilizzato solo per opere buone, che gli alti prelati non ostentassero opulenza, che sugli altari comparissero calici di legno e non di oro .