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venerdì, Novembre 22, 2024

Referendum costituzionale: l’attentato alla democrazia continua

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

La democrazia rappresentativa, che ha sempre caratterizzato la nostra repubblica parlamentare, è stata una conquista. Tutte le leggi approvate dal parlamento, dal secondo dopoguerra fino a qualche anno fa, hanno arricchito il nostro popolo di diritti che con altre forme di Stato gli erano state negate. La centralità delle Camere e la rappresentanza delle minoranze nel suo seno hanno dato voce agli ultimi. Il venir meno di questa rappresentatività sarebbe, quindi, un rischio per la democrazia. Già il potere del Parlamento italiano ha subìto nel tempo un indebolimento per via della decretazione d’urgenza e del sempre più frequente ricorso al voto di fiducia. Più che una repubblica parlamentare, nell’ultimo decennio, per dirla col Prof. Cassese, la nostra è divenuta una “repubblica deparlamentarizzata”, dato che il Parlamento non adempie più al compito che la Costituzione gli aveva assegnato, ossia quello di legiferare, ma si occupa di quello, molto meno nobile, di ratificare le volontà del governo attraverso la conversione in legge dei decreti legge, con l’aggiunta di decine di articoli rispetto alla versione originale del provvedimento, per accontentare questa o quella forza politica. L’esautorazione del Parlamento è l’ennesima anomalia italiana, che ha sottratto all’organo legislativo, quindi alla legislazione ordinaria, temi importanti, trasferendoli all’esecutivo attraverso la decretazione d’urgenza, o “di servizio”, come amo definirla. Il decreto di agosto, solo per dire dell’ultimo in ordine cronologico, ne è un classico esempio: esso ha subìto il raddoppio degli articoli durante il percorso parlamentare di conversione in legge, segno di una politica degradata e soggetta ai gruppi di potere.

A ciò si aggiunga il tentativo malevolo di proporre un referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, spacciandolo per un risparmio di spesa, in un momento in cui la casta dei parlamentari è invisa a tutti gli italiani. Il taglio agli sprechi e la riduzione delle poltrone sono gli argomenti sui quali il M5S ha basato le sue campagne elettorali. Una riforma inutile nel modo in cui viene proposta, che umilia ulteriormente il Parlamento e, di conseguenza, anche il popolo, perché una vera democrazia è tale solo se consente ai suoi cittadini di essere giustamente rappresentati in Parlamento. Un taglio al numero dei parlamentari significherebbe l’esatto contrario e gli italiani non meritano di essere presi in giro.

Ridurre il numero dei parlamentari senza rivedere il ruolo e le funzioni delle Camere non ha alcun senso, se non quello di  tornare utile ai pentastellati che si presenterebbero alle prossime elezioni con “il merito” di aver ridotto la spesa pubblica: di quanto? Dello 0,007%. Bazzecole in confronto al rischio che il nostro impianto costituzionale sta correndo. Sarebbe troppo alto il prezzo da pagare.  Proprio per questo, l’argomento oggetto del quesito referendario andrebbe approfondito dal punto di vista giuridico, prima ancora che di quello politico. Al di là degli slogan demagogici, stiamo partecipando ad una riforma senza alcuna reale motivazione oltre quella del taglio delle poltrone.

La vittoria del SI avrebbe come conseguenza la riduzione della democrazia piuttosto che quella dei privilegi. Se si volesse davvero ridurre gli sprechi si taglierebbero gli incarichi, le consulenze, le nomine, le inutili società a partecipazione pubblica,  le commissioni, le task force e tanto altro, come ad esempio, i 35.000 euro al fotografo di Di Maio. Ma quelle fanno comodo ai politici: favori, voto di scambio, amici, parenti, ecc.

Negli ultimi anni si è perso di vista ogni obbiettivo concreto nel nome del cambiamento, ma non può esserci cambiamento nel ridurre il numero dei parlamentari, perché così facendo si consente ai partiti politici e alle lobby affaristiche di controllare l’elezione di ogni singolo parlamentare atteso il fatto che, riducendone il numero, ad essere scelti sarebbero sempre i più vicini ai vari centri d’interesse.

Votare SI significa consegnare il potere a “pochi intimi”, cioè solo a chi ha il potere economico. Votare SI significa escludere interi territori ed intere minoranze dalla rappresentanza in parlamento. Votare SI significa escludere dal Parlamento anche i partiti che superano lo sbarramento di accesso. Votare SI significa allontanare i cittadini, soprattutto giovani, dalle istituzioni.

E noi italiani, questo, non lo possiamo accettare.

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