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martedì, Dicembre 3, 2024

Filippo Turetta e l’Università di Padova

Da Leggere

Flavio Carlino
Flavio Carlinohttp://ilgiornaledelsalento.it
Avvocato e Dottore Commercialista Pubblicista

Filippo Turetta, reo confesso dell’assassinio di Giulia Cecchettin, continua a far parlare di sé. Lo ha fatto sin dal principio, per la perspicuità con la quale ha organizzato, nei dettagli, l’omicidio della sua ragazza e per la crudeltà usata nell’esecuzione, per il fatto di non aver ricevuto visite per un tempo molto lungo da parte dei suoi genitori, per il rifiuto da parte degli altri detenuti di condividere la cella con lui.

E più passa il tempo, più il caso s’incupisce dissimulando il vero pensiero comune, riconducibile ad una, almeno apparentemente, alquanto semplice domanda: Filippo Turetta, ha diritto alla difesa?

Ciò che preoccupa non è il pensiero collettivo, che affonda le sue radici nella teoria contrattualista dell’antica Grecia, né la inutile scelta di concordare con la teoria del “contratto sociale” di Hobbes, il cui pensiero è ben sintetizzato nel brocardo “homo homini lupus” o con quella del “buon selvaggio corrotto dalla società” di Jean Jacques Rousseau.

Ciò che mortifica la società civile è, invece, che a sentenziare, fuori dalle aule di un Tribunale, se un assassino abbia diritto alla difesa oppure no, sia stato, non un manipolo di cittadini con posizioni estreme sulla punibilità di un colpevole capace di crimini efferati, ma un’istituzione come l’Università di Padova, dove si chiede ad un professore di rinunciare alla difesa di Turetta, mentre  viene insegnato il diritto, compreso il diritto alla difesa, che non può mai cedere il passo ad alcuna giustificazione, nemmeno del tipo “o stai con la vittima, o stai col carnefice”, per il solo fatto di avere espresso, al tempo del delitto, solidarietà nei confronti della vittima (laureanda presso quella università), dichiarandosi, nella più ovvia accezione e senza alcuna lode, contraria alla violenza sulle donne.

La maggior parte della società civile è schierata contro la violenza sulle donne, ma, per fortuna, non tutti coloro i quali si schierano in tal senso pensano che un assassino non abbia il diritto ad essere difeso da un avvocato. E questo non solo nell’interesse dell’imputato, ma dell’intera società civile.

Disorienta tale modo di pensare, intransigente, germinato in un ambiente “non sterile”, fulcro di menti ed idee evolutive, nel quale si professa il diritto alla difesa come traguardo di una fine democrazia giudiziaria diretto alla realizzazione del giusto processo, per tutti, nessuno escluso.

Non dimentichiamo che il difensore non difende mai il reato e difendere un assassino non significa condividerne il pensiero e l’azione. L’avvocato non fa altro che garantire la ineccepibile applicazione di norme penali, sostanziali e procedurali, affinché nessun cittadino venga abbandonato a sé stesso di fronte alla legge, poiché se ciò accadesse il rischio di una condanna/vendetta assumerebbe contorni realistici.  

La giustizia non può essere appannaggio degli innocenti. Se così fosse la società moderna avrebbe fallito, operando il più grande saldo indietro di tutti i tempi. Ne ha diritto anche chi, nell’immaginario collettivo, non se lo merita, ovvero colui che andrebbe condannato senza processo e rinchiuso in una cella per poi lanciare la chiave al di la dei confini della coscienza.

Ma questo pensiero appare oscuro anche alle menti eccelse del diritto dell’Università di Padova, dove i diritti fondamentali della persona “dovrebbero” essere insegnati, non calpestati.

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