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sabato, Luglio 27, 2024

Più  che pervasi di nevrosi si è diffusamente nervosi, ossia vulnerabili

Da Leggere

Rossella Barletta
Rossella Barletta
Rossella Barletta, esperta di storia locale, da oltre quarant’anni indaga sul patrimonio storico, folklorico, antropologico, artigianale, gastronomico del Salento. Negli ultimi tempi il suo interesse precipuo è rivolto al recupero del lessico dialettale e gergale, prima che cada nell’oblio, coi suoi risvolti umani, sociali e storici. Tantissime le sue pubblicazioni, che possono essere consultate su www.rossellabarletta.it o sul sito edizionigrifo.it.

Moltissime parole che esprimevano il pensiero greco furono accolte nel lessico latino e penetrarono così profondamente nella lingua parlata da sopravvivere nei secoli. Tra quelle concernenti il corpo umano si trovano braccio, stomaco, flemma e nervo. Eccolo qui il néuron greco che, quando è seguito dal suffisso osi denota una malattia cronica le cui manifestazioni oscillano dalla depressione alle fobìe, dalle manie alle ansie, dagli incubi ai tic e, spesso, si entra nel campo delle nevrosi.

Ognuno ha le sue e, come sosteneva il linguista Cesare Marchi (1922-1992), dalla scrittura ironica, sono strettamente personali come il codice fiscale, il gruppo sanguigno e il numero delle scarpe. Combattere la/le nevrosi è inutile e, in fondo, è un peccato perché, sosteneva, è un distintivo che ci connota per cui, in un mondo sempre più massificato di milioni di uomini che sembrano fotocopiati, ognuno così afferma la propria, sia pure stravagante, individualità.

A proposito di tic, innocui come tanti, ricordo quelli che non nascondeva Lelio Luttazzi (1923-2010), showman nonché eccellente pianista ed esecutore di musica jazz, di cui continuo ad essere una imperdonabile fan; ai miei occhi, non più di adolescente, ancora oggi me lo rendono amabile e molto chic. Trovo che quei tic facciali o il toccarsi i polsini della camicia rigorosamente coi gemelli, lo distinguevano dagli altri personaggi dello spettacolo del suo tempo e di quello contemporaneo.

Osservo che al giorno d’oggi, oltre che pervasi di nevrosi, si è piuttosto diffusamente nervosi, eccitati e propensi a innervosirsi per un nonnulla, pronti a scoccare il dardo che abbiamo sempre pronto in un ideale arco teso, perennemente puntato sull’obiettivo da centrare, facendoci sentire eccellenti arcieri verso gli altri, tuttavia immuni dalle altrui frecce.

Alla voce nervo si rimandano non soltanto le azioni e i comportamenti umani, ma pure gli atteggiamenti affettivi che rendono inclini a forme incontrollate di ostilità verso gli altri e di presentare un aspetto malcelato di malumore del proprio stato d’animo.

Se soltanto pensassimo che siamo un fascio di nervi, ognuno dei quali ci consente di camminare, di pensare, di parlare e pure di mangiare, di sorridere e di…vivere, forse, con un po’ di giudizio, manifesteremmo rispetto ed un senso di salvaguardia nei loro confronti, assicurando una reciproca longevità!

Chi ha un nervo scoperto diventa vulnerabile come lo fu Achille al quale non fu bagnato il tallone, perché da quello lo si tenne sospeso quando, neonato, fu immerso nel fiume Stige perché diventasse immortale. Crebbe con questo punto debole tanto che Paride lo colpì proprio lì con una freccia.

Scoperti, contratti, repressi, soffocati, oggi circolano nervi più che banconote; impulsi nervosi più che contratti di lavoro; tensioni più che risposte concrete ai bisogni della gente.

Nella lingua latina, il termine nervus indica quasi esclusivamente ciò che ha forza e potenza. La voce nerboruto sottintende la possanza ed è appropriata a uno sportivo o ad un uomo che già nel fisico muscoloso la contiene: un buttafuori è un prototipo esemplare.

La frusta nerboruta la usano i fantini per tenere a bada i cavalli. I dittatori la usano in senso metaforico minacciando chi reclama il diritto di pensare liberamente. Chi non vuole essere additato come un dittatore, percuote il prossimo con il nerbo delle parole o le frustrate verbali, ma così non afferma affatto la sua superiorità bensì la sua vigliaccheria.

Stando alla radice di snervare – come fanno i dittatori – che è (s)neh, torsione, vi è la seria possibilità che si possa ritorcere contro.

Fuori dalla sottigliezza linguistica, inquieta l’evidente proselitismo verso chi frustra verbalmente e si esprime con la violenza per esternare un comportamento fuori dalla legalità.

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