Viene automatico collegare la parola latina fides, fede, a quella dell’amore e, in particolare, alle nozze per l’immagine che evoca: due sposi che promettono e si impegnano a rimanere fedeli quando si scambiano l’anello coniugale, la fede appunto. Questo sigillo di metallo suggella una reciproca volontà, un impegno solenne ed eterno. Tutt’altro che una formalità. Già il momento precedente al sacramento, come il fidanzamento, significa scambiarsi fidanza che contiene il senso di fede o di fiducia che dir si voglia. Il sostantivo fides, infatti, per estensione vuole dire fedeltà, credenza, lealtà.
Fuori da questo specifico ambito semantico, si ha fede ogni qual volta che si dimostra un attaccamento ad un’idea, ad un proposito, una causa, una persona o ad un gruppo di persone vincolate legalmente da un patto o da un regolamento.
Benché fede sia una parola di appena due sillabe, è ricchissima di virtù. Oltremodo nascoste. La si può paragonare ad una pianta medicamentosa. Cresce rigogliosa specialmente nel terreno teologico, dove si nutre di significati e, soprattutto, di verità dottrinali: argomento che lascio trattare ai competenti in materia.
Oltre alla religione, la parola fede sosta nella sfera della immaterialità in genere e, pertanto, il suo domicilio non è esclusivamente e unicamente lungo la via delle virtù teologiche. Non ha una fissa dimora, ma è nel contempo stanziale.
Avere fede vuole dire mostrare fedeltà a qualcuno – più che verso qualcosa che lascia intendere un contatto con un essere inanimato -, non tradire la sua fiducia, alimentare il rapporto creatosi sulla base della stima, del rispetto e di altri valori morali che non necessitano di un atto legale debitamente sottoscritto. Vuole dire dimostrare costantemente e senza tentennamenti che la preferenza accordata ad una persona non subirà oscillazioni come se fosse un titolo azionario quotato in borsa. Sarà sempre solida e sicura, mai al ribasso. Semmai registrerà una naturale calibratura causata dal passare del tempo, una sedimentazione che attenuerà gli impeti e gli slanci iniziali. Raggiungerà una proficua maturità.
E proprio la raggiunta maturità (inclusa quella anagrafica) farà scoprire che la fede non è un sentimento univoco, unidirezionale. Coinvolge la sensibilità, le idee, i gesti, i comportamenti che indirizziamo – o che riceviamo – anche senza accompagnarli con le parole. Seppure necessarie. Spesso superflue perché è il gesto in sé a parlare. Sono tanti i sinonimi di fede e di fedeltà. La gamma è ampia. Non dimentichiamo che fede vuole dire praticare la pietas che è il rispetto degli dèi, dei genitori, della patria; è la più alta forma di amore, di partecipazione, di devozione, di impegno.
Assistere alla rarefazione di alcune di queste voci da parte dell’uomo, lascia perplessi in quanto sintomo di impoverimento spirituale, di insensibilità, di umanità, di egoismo, di desertificazione dei valori e dei sentimenti.
In quale dimensione ci porterebbe se l’anzidetta rarefazione dovesse prevalere sul variegato senso della pietas? Certo non in quella ideale che molti di noi auspicano.