Viviamo in un’epoca in cui proclamarsi cristiani sembra quasi una formalità: una casella da spuntare nei questionari della vita, una dichiarazione fatta con leggerezza, senza mai fermarsi a riflettere sul peso reale di quelle parole. Ma essere cristiani è ben più di un’etichetta. È una chiamata quotidiana alla coerenza, un impegno radicale che si misura nelle scelte e nei gesti concreti della nostra vita.
Eppure, quante volte assistiamo a comportamenti che si allontanano anni luce da questa coerenza? ‘Togliere’ amicizie sui social, escludere persone dalla nostra cerchia, erigere muri, s-parlare gratuitamente di qualcuno, giudicare senza appello. Ecco, ci chiediamo: è davvero questo il modo di vivere il messaggio di Cristo? Qualcosa non quadra. C’è un’incoerenza che grida silenziosamente nelle pieghe di certe scelte e che, se siamo onesti, dovrebbe interrogarci profondamente.
Un valore non negoziabile: la dignità dell’altro. Scegliere con chi stare o chi frequentare è un diritto di ognuno. Ma questo non deve mai trasformarsi in una giustificazione per calpestare un principio fondamentale, tanto umano quanto cristiano: il rispetto per la dignità dell’altro. Ogni essere umano, anche quando non ci è simpatico, quando ci ha ferito o deluso, porta in sé l’impronta divina. Ce lo ricorda proprio Gesù nel Vangelo: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Essere cristiani non è chiudere le porte, ma aprirle. Non è escludere, ma includere. Non è giudicare, ma comprendere. Cristo stesso ci ha dato l’esempio quando, sulla croce, ha perdonato coloro che lo stavano crocifiggendo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Gesù: maestro dimenticato o strumentalizzato. Eppure, oggi, il messaggio di Cristo sembra spesso dimenticato. Peggio ancora, viene strumentalizzato per legittimare atteggiamenti e comportamenti che sono agli antipodi del Vangelo. Amare i propri nemici, perdonare chi ci ha ferito, tendere la mano a chi ci respinge: sono gesti difficili, sì. Ma sono proprio questi che rivelano la vera essenza della fede cristiana.
Non basta frequentare una chiesa, partecipare a un rito o proclamarsi credenti. Essere cristiani significa andare controcorrente, scegliere l’amore e il perdono quando il mondo suggerisce il rancore e la vendetta. È un cammino scomodo, che spesso ci pone davanti a scelte controintuitive, ma è l’unico cammino che rende autentica la nostra fede.
La sfida della coerenza. Essere cristiani, in fondo, significa lasciarsi interrogare continuamente dal Vangelo. Non è questione di forma, ma di sostanza. E quella sostanza si vede nei dettagli della vita quotidiana: come trattiamo chi ci è accanto, come rispondiamo all’offesa, come gestiamo le relazioni difficili.
Gesù ci ha lasciato un comandamento chiaro: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 13,34). Non c’è spazio per l’ambiguità. Amare non è un sentimento passeggero o una parola vuota. È una scelta concreta, che ci chiama ad abbattere muri, non a costruirli; a rispettare, non a disprezzare; a includere, non a escludere.
E allora, la domanda diventa inevitabile: la fede che proclamiamo con le parole corrisponde davvero a quella che viviamo con i fatti? Oppure ci siamo cuciti addosso una fede di facciata, che non sfiora mai il cuore delle nostre scelte?
Essere cristiani oggi. Nel mondo dei social e delle relazioni frammentate, essere cristiani significa anche testimoniare una fede che unisce e non divide. Siamo chiamati a essere luce nel buio, non alimentatori di nuove ombre.
Cristo ci interpella, oggi come allora, con la forza di un messaggio che non passa mai di moda: ama, perdona, costruisci. La coerenza è il metro della nostra credibilità. E solo scegliendo ogni giorno di vivere l’amore autentico, potremo davvero dire di essere, e non solo di dichiararci, cristiani.