Non v’è alcun dubbio che la crisi in atto non sia solo economico-finanziaria, ma anche politica, sociale e, in alcune zone del pianeta, anche militare. Artefice di tutto questo, la globalizzazione, che iniziata un trentennio fa, ha associato lo sviluppo tecnologico ad un progetto “pseudo-politico” di un nuovo ordine mondiale. Tutto ciò con una straordinaria velocità, che ha modificato, senza che nemmeno i promotori se ne rendessero conto, dinamiche sociali, politiche, economiche, provocando interdipendenze molto più complesse ed incontrollabili di quelle vissute nel passato.
Per farla passare “inosservata”, essa è stata presentata come l’estensione, al mondo intero, della “modernizzazione”, intesa come fenomeno di diffusione di tecnologia, ricchezza e benessere e, perciò, di eliminazione di arretratezza e dittature. Ma, come sappiamo, specie rispetto a queste ultime, non è stato così.
Si è trattato di un vero e proprio tentativo di colonizzazione pacifica, perpetrato nei confronti dei paesi più poveri, evidentemente fallito, di cui è stato artefice il mondo occidentale, che ha costruito la propria identità intorno alla modernizzazione, cercando, così, di giustificare le sue mire espansioniste (colonialiste). Come dire, conquisto il mondo per modernizzarlo (sfruttarlo).
Ovviamente, qualcuno ha fatto male i conti, poiché, se vogliamo essere realisti fino in fondo, modernizzazione non ha significato occidentalizzazione, in quanto gli “equilibri” di potenza stanno mutando notevolmente e, certamente, non a favore dell’occidente.
Sta emergendo un nuovo (dis)ordine mondiale in cui la pretesa, tutta occidentale, di rappresentare valori universali, si sta scontrando, rovinosamente, sia con l’Islam, sia con la Cina comunista. In tale contesto, la sopravvivenza dell’egemonia occidentale dipende, esclusivamente, dalla capacità, dell’occidente, di accettare la propria civiltà come elemento peculiare, ma non universale, e restare unito per rinnovarla e proteggerla dalle sfide altrui.
In altri termini, in principio, la globalizzazione portava in sè la promessa di un riequilibrio delle disuguaglianze mondiali che, attraverso lo sviluppo economico, avrebbe esteso la democrazia a livello planetario, abbattendo i regimi autocratici. Ciò avrebbe provocato un impatto culturale senza precedenti, ma il danno sarebbe stato ampiamente compensato dai vantaggi.
A conti fatti, in parte le promesse della globalizzazione si sono avverate, così economie come quelle cinese e indiana, da rurali ed arretrate, sono divenute manifatturiere ed emergenti. Ma, diversamente da quanto previsto, lo shock della globalizzazione sta producendo nuove asimmetrie, finanche più profonde di quelle del passato. In particolare, perché la globalizzazione non ha per niente posto fine alla povertà, nemmeno all’interno di quegli Stati in cui la crescita economica è stata abnorme, come l’India, per l’appunto, dove il benessere indotto dalla globalizzazione convive con sacche di estrema miseria.
Insomma, la globalizzazione ha prodotto sintesi impreviste, non sempre, o quasi mai, favorevoli all’Occidente che l’ha ideata. Ma questo, forse, non è ancora chiaro ai potenti. Finché dura.