Chi scrive, specialmente per il pubblico, può ben comprendere quanto il periodo breve e l’uso di vocaboli semplici anziché dotti, richiedano un’attenta ricerca e una scelta accurata perché sono incaricati di esprimere un pensiero comune, meglio se sintetico e chiaro. Come qualsiasi attività dipendente dalla elaborazione mentale, la scrittura pretende applicazione, impegno e rigore. Quanto lavoro c’è dietro! La negligenza è bandita. Una volta raggiunta la migliore espressione, il concetto sarà facilmente assimilabile.
La paternità della chiarezza è nel termine latino clarus, chiaro; dalla sua radice cla ha origine sia il verbo clamo, grido o chiamo, sia il sostantivo clamor, rumore. A ben riflettere, siamo sufficientemente circondati dalla parola “chiaro” con le sue molteplici corrispondenze, riscontrabili in un mattino d’estate, nel luccichio di una stella nel cielo, in una parola pronunciata o in una frase letta sul giornale. Quando riteniamo che un individuo che sia indiscutibilmente clarus (detto in latino dà più enfasi!), lo designiamo illustre. Se poi è illustrissimo, sottintendiamo la sua importanza o il suo prestigio, di recente costituzione o di antica data. Quante volte abbiamo scritto questo epiteto cerimonioso sulla lettera da inviare…ad un perfetto sconosciuto!
Fuori dal sarcasmo la vita ha bisogno di chiarezza; sta nella chiarezza: nell’interpretazione, nella rappresentazione di sé, nella comprensione degli altri. […] La chiarezza è un punto di arrivo anche se può apparire un punto di partenza. Tra i tanti autorevoli personaggi colti, Giacomo Leopardi, è ricordato per avere argomentato molto sulla chiarezza, legandola alla semplicità che, nel contempo, significa unità e coerenza.
Chi ambisce alla chiarezza, ambisce a un ordine, a un sistema di relazioni necessarie. Ci si chiede se la chiarezza è davvero il contrario dell’oscuro? Una assolutezza del chiaro è da escludere? […] Il chiaro e l’oscuro sono le metafore più ancestrali di cui disponiamo poiché ripropongono l’atavico conflitto tra luce e giorno; vita e morte; cielo e inferi.
Nel corso tempo, opere artistiche, tendenze filosofiche, correnti di pensiero sono state classificate secondo il predominio (talvolta piuttosto manovrato) ora della chiarezza, ora dell’oscurità. Per esempio, secondo alcuni cliché, il Rinascimento è chiaro, il Medioevo è oscuro e così il Barocco: lo stile artistico, per nulla sconosciuto ai leccesi ed ai salentini i quali si muovono quotidianamente entro la sua esuberante cornice lapidea, replicando e riproponendo modelli mentali e comportamenti aderenti al suo intrinseco spirito.
Probabilmente le definizioni che si sono cucite addosso a questa espressione artistica, vanno aggiornate: più che oscura o oltre che oscura, è ingarbugliata, contorta. Oltre al virtuosismo, alla fastosità, all’ampollosità, manifesta l’effimero, ciò che sfugge all’immediata comprensione popolare perché è metafora dell’astrazione contrapposta alla concretezza. Talvolta i suoi elementi strutturali appaiono irrazionali come le colonne che non sostengono alcunché o come le pareti che si curvano e si torcono come se fossero di cartone e richiamano la cartapesta.
Per concludere e dare un senso alle parole-chiave qui disseminate, riguardanti la chiarezza, l’ordine, l’unità, la coerenza, giungo alla seguente constatazione: quante volte si scrive agli amministratori locali sollecitandoli alle loro responsabilità nei confronti dell’ambiente, segnalando le vistose criticità, senza ricevere mai una risposta. Nemmeno di formale avvenuta ricezione. È giusto pensare che il loro silenzio non li onora perché ignorano le regole della buona educazione. Ci si chiede se sia colpa del barocco che sosta nella loro mente nonostante esso sia un fatto estetico e, come tale, non può inficiare un sistema di relazioni necessarie e di impegni da dimostrare. O se sia una scusa a cui conviene aderire per mancanza di capacità tattico-politiche!