Come quello di Giuda, il nostro “misero” bisogno di esserci, ci concede la brutale e viva possibilità di decidere se fare tintinnare le tasche, e, chissà, esattamente come Giuda, persino non disdegnare “un nodo alla gola” dopo il tormentoso rimorso, oppure se starcene lieti e innocenti come i bambini, ben stretti tra le braccia della Misericordia che mai cede il passo.
Stavano cenando,
un uomo era atteso dalla notte:
Lui lo sapeva,
l’altro sorrideva beone,
chiunque vedevano soltanto
l’ora del pane,
(l’ora del vino era la stessa delle vene)
ma un uomo era atteso dalla notte.
Parlavano dei figli,
del grano,
della terra coltivata e da coltivare,
dell’aratro difficile da usare,
della fatica del lavoro,
e poi del mare
e del pesce nei cesti;
parlavano persino degli uomini –
pensate un po’! Parlavano degli uomini
mentre la notte attendeva quel tipo.
Il Giovane mite,
al centro del banchetto,
conosceva il tintinnare
delle monete nel sacchetto,
il desiderio di essere il migliore,
il bisogno di esserlo –
il mio bisogno di essere il migliore
(quanta umanità
con la bava che cola sui diamanti).
Il Giovane mite, conosceva il pianto,
il cappio,
il mistero della mia carne,
del mio tradimento…
e mi attende la notte…
e mi attende la paura
del buio costretto
ad aver paura del buio.