La Chiesa cristiana ha collocato al 24 giugno la nascita (anziché la morte) di san Giovanni Battista per la solennità del personaggio, strettamente collegato a Cristo, che da questi fu battezzato.
Astronomicamente il sole raggiunge la massima distanza dall’equatore celeste nell’emisfero boreale e il fenomeno prende il nome di solstizio d’estate; da questo giorno il sole comincia a decrescere per poi rinascere in un sole nuovo, col solstizio invernale, definito il “sole invitto”, con allusione a Cristo.
Questo declino del sole sull’orizzonte, sia pure in maniera impercettibile, è stato immaginato come un colpo mortale e identificato col Battista “decollato” o “Giovanni che piange”, opposto a san Giovanni Evangelista, ricordato sul calendario liturgico il 27 dicembre e detto “Giovanni che ride”, perché pronto ad apparire all’orizzonte.
Un tempo il 24 giugno era ritenuto un giorno di capodanno, carico di magia e foriero di presagi che avrebbero interessato la natura, gli uomini e, specialmente, le donne. Nelle campagne si accendevano falò e si svolgevano processioni illuminate da torce accese; il fuoco serviva a scacciare demoni e streghe e anche a prevenire le malattie, fugare il male e preservare dal malocchio; tra tutte si distinguevano l’artemisia, l’iperico, la verbena e il ribes, la camomilla e la salvia. Si credeva che nella notte di San Giovanni, in cui le streghe andavano in giro per fare malefici, chi portasse addosso un ciuffo d’”erba di San Giovanni” per antonomasia, l’iperico (Ipericum perforatum), non incappava in alcun danno.
In alcuni luoghi, il giorno di san Giovanni i contadini, di buon mattino, uscivano a raccogliere erbe odorifere che bruciavano ai crocevia e nei campi per allontanare con i loro fumi le folgori, i tuoni e le tempeste. In alcune comunità precristiane si ballava attorno al fuoco o vi era chi saltava sopra per purificarsi. La notte di san Giovanni si raccoglieva la gran parte delle erbe medicamentose, chiamate “erbe di san Giovanni” perché, secondo un’antica credenza, la rugiada che si forma in questa notte prodigiosa e dalle straordinarie proprietà benefiche, si trasmetterebbe alle piante; alcune di esse si ritenevano miracolose per scottature e tagli e si mettevano sott’olio.
Si riteneva, per esempio, che i fichi d’India che maturano verso la fine di agosto nascano la notte di san Giovanni e che il fiore della felce (assolutamente inesistente come pure il seme) sboccia la notte di s. Giovanni; per vederlo bisognerebbe prima annientare il demonio e dispiegare sotto la pianta la tovaglia usata il giorno di Pasqua, perché il fiore, ritenuto sacro, non debba toccare la terra impura e non si dissolva.
Ancora. L’aglio si raccoglieva rigorosamente il giorno di san Giovanni perché contenente una eccezionale funzione preservatrice così come si dovrebbero raccogliere le noci: secondo la ricetta classica del nocino, il frutto deve essere raccolto da mani femminili la notte del 24 giugno, senza intaccare la buccia, si devono lasciarle alla rugiada per l’intera notte e in infusione nell’alcol coperte di zucchero per almeno quattro mesi.
Dice un proverbio diffuso in molti dialetti: la notte di San Giovanni entra il mosto nel chicco, ovvero il chicco comincia a inturgidirsi e a formare zuccheri che arricchiranno il mosto.
Le giovani donne non ancora fidanzate si divertivano a trarre pronostici dagli elementi con cui più avevano contatto, come i prodotti dell’orto o le erbe spontanee così evocando riviviscenze romane e greche. La sera del 23 giugno le giovani nascondevano sotto il cuscino tre fave, ciascuna con un segno distintivo: la prima di queste si credeva avrebbe designato il mestiere del futuro marito; nel secondo caso lasciavano per l’intera notte sul davanzale della finestra un fiore di cardo selvatico affumicato; di buon’ora il giorno 24 andavano a controllarlo: se si presentava chiuso era segno di tradimento da parte del fidanzato, se invece appariva aperto e rigoglioso si riteneva una conferma dell’amore del fidanzato e, quindi, di un avvenire felice, se si presentava dritto sullo stelo significava che la giovane si sarebbe sposata entro l’anno. Oppure scioglievano del piombo e dalla forma del metallo rappreso indovinavano il mestiere del futuro marito.
La notte di san Giovanni, inoltre, si mettevano fuori i vestiti perché assorbissero la rugiada o guazza credendo che non si sarebbero tarlati; le donne, tra l’altro, la rugiada caduta quella notte la raccoglievano e la conservavano preziosamente, ritenendola portafortuna.
San Giovanni Battista è tutore dell’amicizia e dei legami di comparato. Su questo risvolto carico di sacralità sono state registrate diverse espressioni: critime, comu criti stu San Giuanne, credimi, come credi questo San Giovanni; te lu giuru subra stu San Giuanne, te lo giuro su questo San Giovanni; s’ha bastematu subra ‘llu San Giuanne, ha promesso o maledetto su questo San Giovanni.
Nel Salento il santo era definito: San Giuanne, santu cu li stuali, San Giovanni, santo con gli stivali, volendo significare che era un santo molto importante o tra i più importanti. Ma gli stivali non c’entrano. I nostri antenati avranno frainteso una parola spesso sentita da qualche persona colta o, com’è più probabile, orecchiata da qualche giaculatoria, che indicava il giorno di San Giovanni come inizio dell’estate, l’inizio dei giorni aestivali. E da aestivali a stuali, stivali, il passo è breve.
San Giovanni è particolarmente festeggiato a San Giovanni è particolarmente festeggiato a Morigino, di cui è patrono, Acquarica del Capo, Zollino, Carmiano, Patù, Veglie e Vernole.