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giovedì, Novembre 21, 2024

Elogio all’artigianato artistico leccese: riflettori su I Santi di carta 

Da Leggere

Rossella Barletta
Rossella Barletta
Rossella Barletta, esperta di storia locale, da oltre quarant’anni indaga sul patrimonio storico, folklorico, antropologico, artigianale, gastronomico del Salento. Negli ultimi tempi il suo interesse precipuo è rivolto al recupero del lessico dialettale e gergale, prima che cada nell’oblio, coi suoi risvolti umani, sociali e storici. Tantissime le sue pubblicazioni, che possono essere consultate su www.rossellabarletta.it o sul sito edizionigrifo.it.

Sabato 16 novembre alle 18,30, nell’ambito del XXV Festival del Cinema Mediterraneo, presso la Multisala Massimo di Lecce, sarà proiettato il docufilm lungometraggio su I Santi di carta, scritto e diretto dal regista e attore Pascal Pezzuto, nome noto non soltanto agli amanti del cinema e del teatro nazionali, ma a chi ricorda la prima Scuola di Cinema istituita presso l’Università di Lecce benché ebbe vita breve dal 2001 al 2003.

Com’è noto, tra le elaborazioni manuali che, dopo una serie di applicazioni sapientemente combinate come incollare, dipingere e decorare, permettono alla carta di raggiungere effetti di raffinata plasticità tanto da confondersi con la scultura, si annovera la cartapesta, ormai associata a Lecce alla quale si riconosce il prestigioso ruolo di “capitale” sia di un ideale regno di tale artigianato artistico sia del barocco locale.

Ormai è assodato che la città, benché periferica nel vasto Regno di Napoli, sia stata influenzata dal gusto estetico manifestato dai mastri cartapestari che, fin dal ‘600 e per tutto il ‘700, dotarono il capoluogo partenopeo di apparati architettonici effimeri ed appariscenti nonché di illusorie macchine scenografiche, realizzate con materiali deperibili come il legno, lo stucco e la cartapesta. Nel corso del tempo, quella eseguita a Lecce ha raggiunto una fisionomia tutta propria da conseguire connotati riconoscibilissimi e ineguagliabili. Il movimento delle vesti e l’atteggiamento delle statue sacre hanno trovato la più felice espressività ed esaltazione in coincidenza con quella architettonica ed estetica durante il ‘600 col suo tipico stile barocco.

Nel secolo d’oro si produssero le citate statue in tale quantità che il noto scrittore Vittorio Bodini coniò la felice espressione: tutti li Santi nascenu a Lecce, tutti i Santi nascono a Lecce, per i quali «[…] si sarebbe detto che avessero una specie di celeste esclusiva per rappresentare le effigi dei più illustri soldati della Chiesa».

Per sottolineare l’annosità della cartapesta leccese, si cita l’esistenza di una Madonna risalente al XVII secolo che si conservava nel palazzo ducale di Cavallino, secondo la testimonianza del duca S. Castromediano nonché Pietro Surgente (1742-1817), il più antico cartapestaio-statuario cittadino, meglio conosciuto col soprannome di mesciu Pietru de li Cristi, maestro Pietro dei Cristi, per la sua vasta produzione di Crocefissi.

Specialmente nell’800 gli elaborati in cartapesta, unitamente ai “maestri”, conobbero momenti di vasta approvazione, di oggettiva esaltazione, di autentico trionfo che valicò i confini locali per raggiungere città e mercati nazionali ed esteri. Importanti riconoscimenti furono assegnati ai migliori artisti, per tutti Achille De Lucrezi, Antonio Maccagnani; nel 1890 il re Umberto I concesse a Giuseppe Manzo di sovrapporre lo stemma reale all’insegna del proprio laboratorio.

Poi, intorno agli anni 1930 le si rivolse contro l’ostilità di alcuni ecclesiastici come l’arcivescovo di Otranto, mons. Sebastiano Cuccarollo, e di alcuni scrittori come Giovanni Papini contrario all’arte sacra commerciale.

Attorno a questo “neo” si dipana il canovaccio del sopraccennato docufilm.

Questo modo eccellente di puntare il riflettore su una manualità artistica di pregio, rende onore al regista e alla Società di produzione che ha creduto nell’intreccio filmico tanto da supportarlo. E, a chi scrive, di guardare in faccia la realtà e trarre occasione per ribadire (non è la prima volta!) che la cartapesta è profondamente agonizzante. Le botteghe si contano sulla punta di una mano e che possa sopravvivere è indubbio.

Il discorso non è facile né semplice. La constatazione è che, venendo meno gli ultimissimi cartapestai, calerà per sempre il sipario. Già i soggetti sacri sono in nettissimo calo per motivi ovvi. Qualche giovane, ormai di fama internazionale, ha realizzato forme svincolate dalla tradizione, riscuotendo successo. Chiaramente è un tentativo di eclettismo sperimentato da un singolo, da un privato che ha provato ed è andata bene. Ma per il resto? Chi dovrebbe muoversi in tal senso e… non lo fa? Mi chiedo perché in questa città è sempre difficile che, addetti del settore o personalità dotate di creatività – unita alla managerialità per promuovere sé stessi – non riescono a riunirsi attorno ad un tavolo per ragionare e trovare una piccola, microscopica soluzione che vada alimentata per potere crescere. Dove sono i dirigenti delle scuole superiori d’arte, dell’Accademia di BB.AA, dov’è l’Università? Conoscono il problema e lo ignorano o lo ignorano del tutto e non vogliono conoscerlo? È tempo di porre rimedio. Chi alza la mano a raccogliere idee e progetti per salvare il salvabile? Potrebbe farlo il Museo della cartapesta, situato nel Castello Carlo V, gestito dal Ministero della Cultura/Direzione Regionale dei Musei, meta di numerosissimi e incantati turisti stranieri?

Intanto andiamo a vedere I Santi di carta e chissà che non nascano propositi terapeutici. Lo spero.

 

 

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