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domenica, Settembre 28, 2025

L’estate e i corpi tatuati

Da Leggere

Rossella Barletta
Rossella Barletta
Rossella Barletta, esperta di storia locale, da oltre quarant’anni indaga sul patrimonio storico, folklorico, antropologico, artigianale, gastronomico del Salento. Negli ultimi tempi il suo interesse precipuo è rivolto al recupero del lessico dialettale e gergale, prima che cada nell’oblio, coi suoi risvolti umani, sociali e storici. Tantissime le sue pubblicazioni, che possono essere consultate su www.rossellabarletta.it o sul sito edizionigrifo.it.

Quando una stagione volge al temine, non tutti sono contenti o dispiaciuti. Se si indagassero i rispettivi motivi individuali, chissà quanti ne uscirebbero fuori di strampalati, assurdi, incredibili e via immaginando.

Personalmente sono dispiaciuta quando l’estate, come l’attuale, sta per lasciarci perché il sole è il mio elemento naturale; un piccolissimo segno di contentezza, invece, mi pervade perché non vedrò corpi (svestiti) di tutte le forme e… difformità, ricoperti di tatuaggi, altrettanto strampalati, assurdi, incredibili e via eseguiti.

Per non compromettermi, riporto una curiosità di Pia Ricciardi, apparsa sulla rivista mensile Varietas del dicembre 1913 (A. X, n. 116), dal titolo “Il tatuaggio”:

«Erodoto narra che il rapitore della bella Elena fuggendo alla giusta ira di Menelao, giunto presso il tempio di Ercole, si fece tatuare per consacrarsi agli dei e rendersi invulnerabile. Anche Tolomeo si fece tatuare in onore di Bacco. Gl’idolatri usavano imprimere sul loro corpo le immagini della divinità, ecco perché il Signore, nella legge data a Mosè, proibì il tatuaggio come segno di idolatria; eppure i primi cristiani di Oriente si facevano tatuare. Nel secondo secolo d.C. il tatuaggio veniva considerato come una punizione che s’infliggeva alle adultere; nel 600, a Napoli, si tatuavano i ladri prima che entrassero in carcere, e i trovatelli, detti esposti, della S. Casa dell’Annunziata.

Secondo gli storici e gli antropologi, il tatuaggio fu introdotto nell’Europa occidentale dai celti che adoravano animali fantastici e domestici; il de Blasio [antropologo, 1858-1945], fondandosi sull’analogia che presentano i tatuaggi usati dagli abitanti dell’Africa e quelli usati dagli abitanti dell’Italia meridionale, è di opinione che, come i celti diffusero il tatuaggio nell’Italia settentrionale, i popoli dell’Africa lo diffusero in quella meridionale, che il Mediterraneo metteva in continui rapporti di commercio con l’Africa.

Presso i popoli barbari questo bizzarro costume è molto in uso. In generale è l’uomo che è tatuato, e quanto più il popolo è selvaggio, tanto più vistoso è il bizzarro ornamento, proprio come accade per gli animali nei quali il maschio presenta maggior bellezza di forma e di colori. Presso gli Arabi, più evoluti, sono tatuate anche le donne. 

In Europa il tatuaggio è proprio dei marinai, dei soldati, dei contadini, degli operai e…dei delinquenti. Il de Blasio, che lo ha riscontrato pochissime volte in presone agiate, distingue in esso le seguenti categorie: religioso, d’amore, di nomignolo, di vendetta, di disprezzo, di professione, di bellezza, di data memorabile, osceno, simbolico, etnico e politico. I camorristi napoletani, come in generale i malviventi di tutte le grandi città italiane ed estere, sono tatuati: quando la pubblica sicurezza riesce ad agguantare qualcuna di queste egregie persone rileva, fra i segni caratteristici, il tatuaggio.

In qual modo si esegue questa bizzarra decorazione della pelle? O si traccia il disegno sul corpo colla matita, poi lo si punteggia con un ago e sulla pelle che sanguina si stropiccia la sostanza colorante; o si mette sul disegno uno strato di colore e poi vi si passa l’ago; o si passa l’ago intinto nella sostanza colorante; o addirittura si applica sul corpo il disegno eseguito su carta traforata, proprio come fanno i disegnatori di ricamo in bianco.

Oggi non sono soltanto gli umili e i malviventi quelli che usano questa barbara decorazione. In certi istituti dei sordo-muti, negli Stati Uniti d’America, si tatuano sul collo i piccoli ricoverati perché, in caso di smarrimento, siano ricondotti al sicuro; inoltre, pure in America, gentildonne e gentiluomini si compiacciono di adornare così il loro corpo e la bizzarra equivoca moda varca l’oceano. Già, oggi pare sia di buon gusto somigliare un po’ agli apaches…».

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