Su questo santo di origine orientale la Chiesa non dispone di notizie certe e tuttavia non ha vietato di ricordarlo il 23 aprile. Gli storici vedono nella sua figura una stratificazione di leggende che lo hanno reso popolare sia nella religione cristiana sia in quella islamica come cavaliere senza macchia e senza paura. Cristiani e musulmani gli hanno consacrato il carrubo, simbolo di longevità; in Oriente, all’ombra della sua folta chioma, sono state costruite molte cappelle. San Giorgio è invocato in casi di estrema necessità, quali il morso di serpenti velenosi, la lebbra, la peste, la presenza di streghe, contagio di sifilide. La leggenda lo raffigura come il cavaliere che uccise il drago e liberò la figlia del re, condannata a essere cibo per quel mostro; probabilmente è la trasposizione della lotta del bene contro il male o, in chiave naturalistica, contro i morbi citati (peste e lebbra), che infierivano sulle popolazioni.
È patrono di città italiane ed europee (Genova e Barcellona), di Ordini militari e campeggia sulla bandiera inglese. Nel Salento lo è di Matino; Melpignano gli ha intitolato la parrocchiale e una piazza tra le più insolite, racchiusa da edifici porticati, appositamente realizzati per ospitare un rinomato e fiorente mercato settimanale (fine ‘500).
Il santo e la leggenda hanno ispirato raffigurazioni pittoriche e in cartapesta nonché alcuni proverbi legati alla campagna, particolarmente alla crescita della vegetazione e alla fecondità delle greggi; nel Salento gli si riconosce una non comune capacità miracolistica per le zitelle che lo invocavano perché fugasse le malelingue. Ecco una giaculatoria:
San Giorgi, cavaliere cavarcante, San Giorgio, cavaliere cavalcante,
cu’ la spada ‘ccidisti lu sarpente; con la spada uccidesti il serpente;
comu libarasti la zitella come liberasti la zitella
cusì libera me de mala gente, così libera me dalla cattiva gente,
de ucca de male lingua da bocca di cattiva lingua
de ira de Signore da ira del Signore
de omu traditore da uomo traditore
de fèmmena ci ha fattu grand’errore. da donna che ha fatto grande errore.
Nell’affibbiare agli animali nomi propri di persona, il nome (dialettale) Giorgi era dato di preferenza agli asini. In proposito si ricorda che, negli anni Trenta [del secolo XX], Giorgi, si chiamava l’asinello di un venditore di petrolio il quale si annunciava col suono di una trombetta metallica, come pure così si chiamava l’asino di un venditore ambulante di angurie, nonché quello col quale un noto stabilimento industriale, che allora produceva prevalentemente letti in ferro, reti metalliche, ecc., provvedeva alla consegna dei manufatti.
È noto che in Toscana si dice “non fare il Giorgio” per dire “non fare l’asino”.