Nel mese di maggio generalmente cade l’Ascensione, precisamente quaranta giorni o la settima domenica dopo la Pasqua e, pertanto, è una festa mobile perché dipende dal giorno della celebrazione di quest’ultima. Essa celebra la salita al cielo di Cristo ed è ritenuto un giorno prodigioso, magico, pregno di straordinaria sacralità, attribuita non soltanto all’intrinseco significato religioso, ma anche alla tradizione che ha legato riti e credenze popolari, sorte sempre su un substrato religioso. Nella ricorrenza si intravvedeva un misterioso collegamento delle forze celesti con la terra che produceva effetti prodigiosi sulla campagna, gli animali e, principalmente, sull’acqua, sia quella delle fonti sia quella somministrata ai malati; per questo si facevano benedire i pozzi d’acqua sorgiva (in passato era l’unica fonte di acqua potabile), oppure si credeva che un angelo a mezzanotte benedicesse le acque le quali assumevano miracolosamente una forza risanatrice che si trasmetteva ai malati.
Anche l’acqua posta nelle bacinelle all’aria aperta la sera precedente l’Ascensione, secondo la credenza, avrebbe acquistato virtù miracolose – perché Gesù, al suo passaggio per salire in cielo, le avrebbe benedette – che sarebbero state trasmesse a chi ne avesse fatto uso; comunemente a quell’acqua si lavavano le donne le quali vi versavano i petali sfogliati da decine e decine di fiori, generalmente rose. Chi non trovava o non poteva procurarsi rose o un qualsiasi tipo di fiore, andava a raccogliere nell’immediata campagna, erbe aromatiche spontanee come il rosmarino.
Un tempo il giorno dell’Ascensione era ritenuto propizio alla raccolta della camomilla (o, comunque, dopo il plenilunio di maggio), in seguito alla benedizione che quel giorno si facevano alle campagne; principalmente le donne, durante la notte, ne raccoglievano grossi fasci che poi seccavano e conservavano, nel caso avessero dovuto utilizzare la camomilla per decotti, infusi o impacchi.
Un’altra usanza riguardava il consumo di latticini freschi o di latte cagliato o di pastina cotta nel latte; il formaggio fatto il giorno dell’Ascensione si contrassegnava con una croce e lo ritenevano potente rimedio contro la diarrea.
La citata usanza, ormai scomparsa, ha ispirato alcuni modi di dire: sih, te l’Ascensione latta ncora, sih, dell’Ascensione allattava ancora, a proposito di un giovane immaturo nonostante l’età.
A Lecce, il giorno dell’Ascensione, dalla Cattedrale si muoveva una processione folta e variopinta per la presenza di labari e vessilli che accompagnavano il simulacro di Gesù e la partecipazione delle confraternite, ciascuna portando la statua del santo di riferimento oltre, naturalmente, il vescovo, il Capitolo ed il popolo in un tripudio di orazioni.
La processione si snodava lungo i viali extramurali e, ogni anno, usciva dalla porta urbica da cui l’anno precedente era rientrata, e rientrava dalla porta successiva, seguendo il movimento delle sfere dell’orologio. Presso ogni porta il vescovo benediceva la folla assiepata lungo il percorso e, idealmente, anche la vicina campagna che un tempo recingeva la città.
Al termine della processione i leccesi usavano dire, con tono beneaugurante: ni etimu l’annu ci ene all’autra porta!, ci vediamo l’anno venturo all’altra porta.