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domenica, Settembre 8, 2024

Santa Marina nel Salento: il ‘rito’ delle zagaredde

Da Leggere

Rossella Barletta
Rossella Barletta
Rossella Barletta, esperta di storia locale, da oltre quarant’anni indaga sul patrimonio storico, folklorico, antropologico, artigianale, gastronomico del Salento. Negli ultimi tempi il suo interesse precipuo è rivolto al recupero del lessico dialettale e gergale, prima che cada nell’oblio, coi suoi risvolti umani, sociali e storici. Tantissime le sue pubblicazioni, che possono essere consultate su www.rossellabarletta.it o sul sito edizionigrifo.it.

Benché nel calendario liturgico sia riportata il 18 giugno, nei paesi salentini come Copertino, Miggiano, Muro Leccese, Parabita e, soprattutto Ruggiano (frazione di Salve), dove esiste l’omonimo Santuario, santa Marina è festeggiata il 17 luglio.

Delle due sante col medesimo nome, d’Antiochia (20 luglio); di Orense (18 luglio) e la beata Marina di Spoleto (18 giugno), la santa Marina più nota è quella di origine libanese, vissuta nel V secolo, celebrata a Ruggiano, protettrice dei malati di itterizia e delle partorienti, dove si trova un Santuario. 

Questo si doveva raggiungere a piedi, percorrendo tratturi di campagna a gruppi, costituiti da persone appartenenti alla stessa famiglia; lungo il tragitto, soprattutto i pellegrini itterici, dovevano eliminare le impurità del corpo orinando sotto una forma arcuata – che poteva essere un ramo o un rovo, ma meglio se si trattava di una struttura inserita in un casolare rurale – in quanto la santa si era rifugiata sotto un arco quando fu scacciata dal convento, e dovevano recitare contemporaneamente la seguente formula con la quale si invocava il beneficio:

Arcu, pintarcu                          Arco, arco dipinto

tie si beddu fattu!                    tu sei ben fatto!

Ci no tte saluta                         Chi non ti saluta

de culure cu tramuta.             possa cambiare di colore. 

Ièu sempre te salutai:             Io sempre ti ho salutato:

lu culure no persi mai.            il colore non ho mai perduto. 

Il gruppo, giunto in prossimità del Santuario, doveva acquistare le zagaredde, nastri di seta multicolorati, per sacralizzarli e renderli apotropaici, dopo averli strofinati sulla statua della santa; poi ognuno se li legava al polso o li annodava al collo e le donne ai capelli.

Un tempo si credeva che l’itterizia fosse provocata dall’arcobaleno o, meglio, che si trasmettesse all’uomo perché questi aveva indossato panni lasciati asciugare in presenza dell’arcobaleno. Ecco perché l’atto del mingere doveva avvenire sotto una forma arcuata evocante l’arcobaleno.                     

L’itterizia era detta “morbo regio” (morbus regius) o “male d’arco” (morbus arcuatus). La prima definizione è giustificata dal fatto che gli effetti del morbo – causato da un aumento della biliburina, un pigmento biliare che interessa i globuli rossi, il fegato e la bile e devono funzionare in sintonia altrimenti provocano l’ittero – si manifestavano negli occhi (nella sclera o sclerotica), nelle urine e nel colorito della pelle che acquistavano la tonalità del giallo-oro, colore ritenuto molto prezioso, appunto “regio”. La seconda definizione dall’influenza negativa, come si è già detto, dell’arcobaleno.

In un componimento dialettale dal titolo Storia di santa Marina, si riporta la seguente leggenda: Marina, per non abbandonare l’amato padre rimasto vedovo, lo seguì nel convento dove volle ritirarsi, diventando fra’ Marino e mentendo sugli evidenti tratti femminili, facendosi passare per eunuco. Accusata di avere sedotto la figlia di un locandiere e di averla resa madre, espulsa dal convento ma vivendo nelle vicinanze, accettò di allevare la creatura, pur vivendo di elemosina. Soltanto alla morte del sedicente frate, i confratelli si accorsero del suo sesso e di come fosse stata vittima di una falsa calunnia, sopportata silenziosamente con spirito di santa rassegnazione.

Secondo altre fonti, per guarire, i fedeli bevevano l’acqua del pozzo situato accanto al Santuario, acquistavano la entarola, il ventaglio con l’immagine della santa e raccoglievano o acquistavano un mazzetto della cosiddetta “erba di santa Marina” o “erba te la Santa” o “erba dell’itterizia” o “erba perla azzurra”, termine scientifico Buglossoides purpurocaerulea, nota per le sue proprietà antiossidanti, depurative e epatoprotettive, già citata dal botanico Martino Marinosci e, secondo alcuni botanici, collocata nel bosco di Martina Franca, da dove sarebbe stata trapiantata a Ruggiano. 

      

     

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